Parole come pietre, conflitto e civiltà

di Ugo Morelli
Archivio Sezione Hic et Nunc

“Tua madre è una negra” è la scritta su un foglietto trovato infilato nella borsa di una bambina delle elementari a Trento. La bambina è figlia di una madre di origine indiana adottata da una famiglia trentina. La madre della bambina è stupita e costernata. Forse più di noi. Quello che non riesce a capire è che cosa sia successo in così poco tempo. In meno di un quarto di secolo, da quando lei venne adottata e cresciuta con amore, si è verificato un cambiamento così stravolgente che oggi delle bambine che vanno a scuola con sua figlia le scrivono quelle frasi. La bambina lo chiede alla mamma e noi ce lo chiediamo con apprensione e preoccupazione. Il sentimento razzista delle bambine che scrivono quelle frasi si origina nei climi familiari e sociali in cui crescono e sono educate. Quelle idee si respirano nell’aria, se delle bambine le ripetono e le usano come armi di esclusione. Come quando un bambino dice una parolaccia siamo soliti affermare: da qualcuno l’avrà sentita, allo stesso modo si può dire per eventi come questo. E se vogliamo accreditare una posizione di innocenza a quelle bambine che scrivono frasi ingiuriose e xenofobe, dobbiamo almeno chiederci dove le hanno imparate. Ma soprattutto dobbiamo domandarci come mai quelle idee sono divenute parte del loro immaginario e del loro modo di pensare. Le nostre menti sono plastiche, si modellano cioè nelle relazioni della vita di ogni giorno, sono capaci di adattarsi alle influenze e ai segnali dell’ambiente e divengono quello che sono, continuamente. Non possiamo contare sulla certezza di una mente sempre uguale a se stessa, affermando che tanto da noi certe cose non possono succedere. È una rassicurazione che non possiamo e non dobbiamo permetterci. Né ci dovremmo consentire un atteggiamento superficiale che tratti eventi come i foglietti infilati nella borsa della bambina come qualcosa di poco rilevante, a cui tutto sommato non conviene dare tanto spazio. Quei foglietti sono un sintomo e la misura della loro gravità è la storia della madre. Lo scarto che deve farci riflettere e profondamente preoccupare è lo scarto tra il modo in cui la madre si è sentita accolta e la sua attuale paura per come è accolta la sua bambina. Quel processo di scivolamento progressivo e rapido, silenzioso e subdolo, è la cosa a cui prestare la massima nostra attenzione. Dobbiamo cioè sapere che è proprio in quel modo che accadono le peggiori cose. Ci si ritrova ad un certo punto, un passo alla volta, in un mondo del tutto diverso e nessuno sa dire come mai è accaduto. “Nessuno vuole la torre, eppure la torre viene costruita”, scrive Friederich Durrenmatt in un suo romanzo famoso. Una società come quella trentina che trae la propria identità dalla differenza e dal valore della differenza, che nella differenza e nella sua elaborazione, tra nord e sud Europa, tra valli e lingue diverse, tra emigrazione passata e immigrazione attuale ha costruito la propria identità, ha oggi una nuova possibilità di mostrare a se stessa e al mondo di essere una società aperta, solidale e civile.