L'indifferenza

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

“Ok, vi farò una previsione per l’inverno:
sarà molto freddo, sarà cupo e tetro,
e sarà lunghissimo. Fino alla fine della
vostra vita.”
[Harold Ramis , Ricomincio da capo
(Groundhog Day), 1993]


“Sono pronto. O meglio non c’è nulla per cui essere pronti. Una persona. È tutto quel che ho, è tutto quello che chiunque ha ed è tutto quello che posso dare. Al momento del bisogno non esiterò e non sarò indeciso”. Così si esprime Ai Weiwei, l’intellettuale e artista dissidente cinese a cui sono stati concessi gli arresti domiciliari, non certo la libertà, dopo le proteste internazionali. Si tratta di una precisa dichiarazione di azione diretta e di presenza attiva: il contrario dell’indifferenza. Viviamo, nelle nostre realtà autonome, in società dove la persona, la presenza, l’assunzione di responsabilità diretta e l’impegno sociale in prima persona sono pratiche diffuse e valori riconosciuti e condivisi. Sia la posizione di Ai Weiwei che alcune espressioni della nostra vita comunitaria sono il contrario dell’indifferenza. Mostrano la possibilità di assumere in prima persona il mondo come un progetto e un’invenzione. Certo, molto c’è da fare per affermare questi orientamenti e principi attivi, ma soprattutto è bene considerare l’esigenza di distinguersi dall’indifferenza, uno dei problemi principali del nostro tempo e della crisi del legame sociale. Recentemente l’Università del Maryland ha appena condotto un esperimento (The World Unplugged), monitorando 1.000 ragazzi in 5 continenti. A loro è stato impedita, per 24 ore, qualsiasi connessione a internet e ai dispositivi tecnologici. I risultati sono stati sorprendenti, prevedibili e terrificanti. “Il senso del nulla mi ha invaso il cuore. [...] Sento di aver perso qualcosa di importante”; “avevo l’impressione che mi fosse stato amputato un braccio”; “il silenzio mi stava uccidendo”: queste alcune delle impressioni e delle testimonianze. La maggior parte dei ventenni coinvolti nella ricerca ha vissuto come una violenza e una prevaricazione (“crudele”) l’imposizione del black out. Pochissimi – 1 su 5 in media – sono riusciti ad apprezzare fino in fondo questa condizione di vita, a quanto pare inedita al giorno d’oggi (significativamente, in Uganda e in Slovacchia).
E d’altra parte, se pensiamo alle operazioni che compiamo tutti quotidianamente, è facile proiettare il senso di un disagio che sfocia nell’ansia, con il calare dell’età anagrafica. Bruce Sterling, ne La forma del futuro, ha notato come le operazioni che compiamo quotidianamente, e l’ecosistema mediatico-tecnologico in cui viviamo costantemente immersi, siano praticamente gli stessi che 25 anni fa potevano solo essere immaginati dalla più ardita letteratura cyberpunk (di cui egli stesso è peraltro uno dei massimi esponenti). Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno moltiplicato le nostre possibilità e hanno messo in crisi le forme tradizionali di espressione ed esperienza del legame sociale. Non sono l’unica causa dell’indifferenza. Accanto ad esse è necessario collocare la planetarizzazione della nostra esperienza e la nostra difficoltà a contenerne gli effetti: tutto quello che accade nel mondo ci riguarda e ci raggiunge, mentre mostriamo di non essere attrezzati ad elaborare questa contingenza storica. La difficoltà a contenere le differenze estese ci porta a scegliere l’indifferenza come soluzione difensiva. Sembra perciò importante una posizione che porti a vivere il valore delle realtà locali come una base sicura e necessaria, che per essere tale oggi, però, deve essere guardata dal mondo, con lo sguardo capace di riconoscere le differenze per privilegiare l’appartenenza. Del resto Ernesto De Martino già diceva: è solo chi ha un villaggio nel cuore che può dialogare con il mondo.