Rosarno e noi

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

Da par suo Gian Antonio Stella, conducendo Prima Pagina, la trasmissione di Radio Tre che propone la lettura dei giornali quotidiani, la mattina dell’undici gennaio duemiladieci, ha commentato la condizione di Jaroslaw, lavoratore romeno impegnato nella raccolta delle mele in Val di Non, paragonandola a quella di Jenek, lavoratore congolese nella raccolta degli agrumi a Rosarno. Jaroslaw guadagna da otto a dieci euro all’ora netti ed è alloggiato in un miniappartamento con stanza, bagno e piccola cucina; Jenek ha un “matersasso” di cartone e guadagna da nove e dieci euro al giorno, che prende dalle mani del caporale che lo taglieggia e lo minaccia se dice qualcosa. Quando nel millenovencentosettantotto abbiamo svolto una ricerca nell’area di Rosarno e in Calabria, sul rapporto tra lavoro, servizi e sviluppo, abbiamo scoperto che la popolazione locale accettava in maniera passiva e interessata il dominio dei notabili e della ‘ndrangheta, ognuno impegnato a cercare favori legittimando gli usurpatori. Dopo la scrittura di un libro e la denuncia della situazione in un convegno pubblico a Milano sono stato minacciato telefonicamente più volte, e i nostri interlocutori locali mi hanno detto che me l’ero cercata. Queste due notizie, oltre a connettere la nostra realtà con quella italiana di oggi, aiutano a capire qualcosa di quello che sta succedendo in Calabria e che è importante impegnarsi perché non succeda da noi. In primo luogo è importante chiedersi  che conflitto è quello calabrese. Non è un conflitto identitario e culturale, ma un conflitto di interessi che si cerca di camuffare da conflitto di identità e culture. Gli interessi sono quelli della ‘ndrangheta contro la quale la popolazione locale, in parte collusa, non muove un dito. Persino la manifestazione cosiddetta pacifica ha un tono perbenista, se a manifestare è chi tutti i giorni potrebbe parlare e agire e non lo fa. È, quello, inoltre, un conflitto da indifferenza da parte dello Stato, che ha lasciato completamente in mano alla ‘ndrangheta non solo il potere economico ma anche l’organizzazione dell’ “ordine” e della “sicurezza”. Gli unici che si oppongono, o meglio hanno cercato di opporsi, allo strapotere delle ‘ndrine sono stati gli immigrati, con gli esiti che sono sotto gli occhi di tutti. Agli immigrati in quelle condizioni sarà apparsa intollerabile l’ingiustizia e l’offesa: cosa che non accade per le continue catene di soprusi quotidiani che la gente locale accetta passivamente, da quando deve richiedere un documento di identità a quando ha bisogno di lavorare o necessita di un’autoambulanza. Se il legame sociale quotidiano si organizza sul piano della legalità e della giustizia, l’esito è quello della Val di Non, diversamente l’unica legge è quella della giungla. Vale la pena tutelare con grande attenzione democratica quello che è il bene più prezioso: il controllo democratico e partecipato della nostra socialità, che non è affatto scontata.