Il futuro della cooperazione

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc


Tanto varrebbe prenderne atto, e potrebbe essere salutare: nella cooperazione trentina sono presenti oggi almeno due culture e due orientamenti. Con varie sfaccettature e con una certa approssimazione quelle due culture, a seconda di quale prevarrà, decideranno il futuro di una parte importante della società e dell’economia locale, e di più di un secolo di storia. Ci sono però due ostacoli a parlarne e a trasformare il non detto in materiale di analisi. Il primo riguarda ogni esame di realtà. Gli esami di realtà sono in parte difficili e dolorosi. Forse per questo in lingua inglese l’esame di realtà si dice working through, passare attraverso: spigoloso persino a livello onomatopeico. È come attraversare un roveto: qualche graffio e qualche strappo ai vestiti si verifica. Il secondo ostacolo ha a che fare con la tacita accettazione di un’ideologia che non aiuta, quella che ritiene che siccome si è in cooperazione allora si è tutti d’accordo, prima di confrontarsi. Più volte abbiamo avuto modo di dire che confliggere vuol dire incontrarsi e non farsi la guerra. Se uno ha un’idea diversa da un altro, dal loro confronto o dalla buona elaborazione di quel conflitto può nascere una terza idea, magari migliore delle prime due. Confronto e cooperazione non sono perciò due parole contrarie, ma per molti versi addirittura sinonime. Come possono essere definite le due culture presenti nella cooperazione? Da un lato vi è la ricerca impegnativa delle condizioni per far vivere al presente i principi che combinano solidarietà e mercato; quei principi che, anche in base al Codice civile, costituiscono un modo originale di fare imprese e di stare nel mercato. Sono principi di importante attualità in quanto mostrano di saper valorizzare la fiducia reciproca come fattore decisivo per il funzionamento del mercato e per evitarne i fallimenti. Alla base di tale prospettiva vi è l’idea che il bene comune è la condizione del bene individuale e che si tratta di perseguire l’uguaglianza delle opportunità e non dei trattamenti, per mirare alla giustizia sociale. In questa cultura della cooperazione, il legame tra comunità di riferimento e strategia d’impresa cooperativa è la vena giugulare della cooperazione stessa: l’obiettivo sarebbe la modernizzazione e l’attualizzazione di quel legame, anche sviluppando una logica di parziale riduzione del numero d’imprese, creando rete. Dall’altro lato vi è l’evidente, ancorchè non dichiarata, convinzione che modernizzare voglia dire fondere le imprese cooperative, ridurle drasticamente di numero, perseguendo una massimizzazione dell’efficienza attraverso una logica basata solo sul prezzo. Il legame con il territorio e le comunità sarebbe, in questa prospettiva, una questione di animazione e di comunicazione, nonché di distribuzione di contributi mediante il bilancio sociale, in quanto al centro vi sono solo le transazioni regolate dal prezzo, appunto. La crisi di fiducia, indotta anche dal comportamento delle cooperative, è vissuta come insanabile e lo sguardo è rivolto a un modello di impresa che non considera la partecipazione, il bene comune e la giustizia sociale come fattori chiave per l’economia e la società. In questa prospettiva l’interesse individuale è al centro e il bene comune un derivato. Ci sarà la capacità di confrontarsi e giungere alla decisione migliore o si lascerà che tutto accada per inerzia continuando ad esibire buone intenzioni?