Diritti sociali e dignità del lavoro. Il reddito di cittadinanza
Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

Individualismo e liberismo sono i venti che soffiano indisturbati, tuttora, nei nostri territori e nei nostri ragionamenti. Su nessun tema fanno così presa come sul lavoro. Ci siamo stupiti che il presidente uscente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, abbia denunciato la gravità e i rischi dell’esclusione dal lavoro di intere parti di generazioni, e che abbia chiesto un salario minimo sociale e legale per affrontare la situazione. I dati recenti sulla nostra situazione locale, essendo meno problematici, autorizzano spesso a ragionamenti tranquillizzanti. Non si tiene conto però della ineluttabile appartenenza di ogni sistema locale al mondo globalizzato e che oggi le opportunità, soprattutto quelle di qualità, non possono essere misurate solo su scala locale. La domanda che dobbiamo porci è se la nostra società, parte integrante dell’Europa, possa essere ridotta solo alle politiche economiche e finanziarie che assorbono tutte le altre dimensioni. Juncker si è chiesto e ci chiede quali sono le conseguenze di un simile orientamento prevalente. Se si considerano, come pare indispensabile, i principi di solidarietà e uguaglianza e la questione della distribuzione delle risorse, emerge evidente la rilevanza del reddito di cittadinanza come via per affrontare l’indifferenza attuale riguardo ai processi di esclusione lavorativa e sociale. Il tema del reddito universale di cittadinanza sarà affrontato a Roma il giorno 15 gennaio, discutendo, tra l’altro, il libro Reddito minimo garantito, pubblicato dal Gruppo Abele. Se si vuole effettivamente andare oltre la rigidità della dimensione contrattuale che garantisce i garantiti, e oltre gli ammortizzatori sociali che riflettono un modo di guardare al precariato come se fosse un problema transitorio, è necessario porsi il problema della cittadinanza e del reddito relativo. Ciò vuol dire una cosa molto semplice: riconoscere la cittadinanza e l’appartenenza ad una comunità come una precondizione, rispetto alla sfera economica. Rispettando le dichiarazioni universali dei diritti e, soprattutto, l’articolo 36 della nostra costituzione, uno dei più belli, sembra necessario riconoscere che in primo luogo viene la necessità di affermare la pienezza della vita di una persona. Questo riguarda tutti i cittadini e non solo quelli che si trovano in difficoltà lavorative. Nel sentimento di appartenenza si fondano gli elementi di base di una società giusta e ogni ricerca sulla precarietà lavorativa mostra che il principale problema è la crisi di legame che ne deriva. I diritti sociali e la dignità del lavoro pare che non si tutelino con interventi rapsodici e, forse, neppure con il salario minimo garantito. Sembra necessario un disegno di giustizia sociale che parta dalla cittadinanza e dal suo riconoscimento effettivo, come base sicura per la dignità della persona.