Dimmi dove vivi e ti dirò come stai
Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

Alcuni studi hanno dimostrato che, potendo scegliere l’ubicazione delle loro case o dei loro uffici, le persone si orientano sempre più verso un ambiente che unisce tre caratteristiche ben presenti agli architetti del paesaggio e agli agenti immobiliari. Le persone vogliono stare su un’altura panoramica, prediligono una radura simile a una savana con alberi e sottobosco, e vogliono stare vicini a uno specchio d’acqua come un fiume, un lago o un oceano. Anche se questi elementi sono meramente estetici e non funzionali, chi compra una casa sarà disposto a svenarsi pur di avere questo panorama. Edward O. Wilson, forse il più grande etologo vivente sostiene questa tesi, del resto evidente a ognuno di noi, nel suo ultimo libro, La conquista sociale della Terra. Inutile dire che la distinzione tra “estetico” e “funzionale” di Wilson, risulta un retaggio di cui facciamo fatica a liberarci: non esiste nulla che sia solo estetico e solo funzionale per una specie come la nostra che arriva alle cose attraverso la simbolizzazione e il linguaggio, e non può fare diversamente. L’educazione a cambiare idea può favorire il riconoscimento di una realtà così evidente all’esperienza di ciascuno di noi. Siamo quelli che creano se stessi nelle relazioni con gli altri e con il mondo. Lo facciamo attraverso processi di con-versione e con-versazione infiniti, impegnando l’immaginazione e il linguaggio. Introiettiamo perciò lo spazio in cui viviamo trasformandolo nel paesaggio della nostra vita. Proiettiamo allo stesso tempo noi stessi, il nostro mondo interno, i nostri desideri e le nostre attese, negli altri e nel mondo. In quella circolarità senza fine ci individuiamo e diventiamo noi stessi. Una recente ricerca dell’Università di Harvard, condotta da White, Alcock, Wheeler, Depledge nel 2013 ha evidenziato il rapporto tra il benessere individuale e collettivo e la qualità degli spazi di vita. Dalla ricerca emerge che l'urbanizzazione incondizionata e senza qualità è una potenziale minaccia per la salute mentale e il benessere. Evidenze trasversali suggeriscono che vivere più vicino al verde urbano, come i parchi, è associato con un disagio mentale inferiore. Utilizzando i dati relativi a oltre diecimila individui è possibile esplorare la relazione tra gli spazi verdi urbani e il benessere, e tra il verde urbano e il disagio mentale per le stesse persone nel corso del tempo. Si è scoperto che, in media, gli individui hanno sia un disagio mentale inferiore e un superiore benessere quando vivono in aree urbane con più spazi verdi. Le politiche, da sole, non sembrano sufficienti, se non sostenute da azioni educative volte a generare nuovi orientamenti culturali e comportamentali. Tutti quegli studi giustificano la considerazione che il paesaggio sia come la lingua madre. La sua presenza, tacita o esplicita, riconosciuta o latente, contiene il codice originario della nostra appartenenza e ci invoca a considerarla, oltre i dualismi tra mente e natura. L’idealizzazione del paesaggio o la sua distruzione sono entrambe vie per la sua negazione e il suo mancato riconoscimento, modi per non accedere alla sua considerazione e alla sua cura. Prendersi cura del paesaggio è prendersi cura di sé.