La democrazia e il codice materno
Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

E’ quando è interpellata nel dialogo e con il linguaggio che la democrazia diviene possibile. L’interpellazione attiva l’immaginazione che rende pensabile e praticabile la democrazia e la può rendere viva nel tempo. Sentiamo oggi così spesso invocare il ritorno di una figura forte, del padre o di un “messia” salvifico, per affrontare il presente. La tentazione è comprensibile, ma il binomio democrazia-autorità paterna merita, oggi, una profonda rivisitazione . Il binomio paterno-materna dovrebbe, in primo luogo, essere sottratto ai limiti del sesso e del genere e aperto alle possibilità plurali dei codici affettivi. L’autorità paterna o materna che sia, non può trascurare che la democrazia necessita di indicare e, allo stesso tempo, di accogliere; di essere forte ma vulnerabile; di seminare e generare. Essa, la democrazia, abbisogna di differenze e contenimento; di conflitto e cooperazione. Allora come mai tanta nostalgia suscita oggi la cosiddetta “evaporazione del padre”? Dal che si ricaverebbe una crisi dell’autorità, un vuoto insopportabile, ad ogni costo da colmare con un novello “principe” che solo può dirci chi siamo e dove dobbiamo andare. Senza addentrarci nella questione, se quella evaporazione sia effettiva o non si tratti, piuttosto, di una consistenza a un livello superiore di dominio, ancorchè sfuggente e meno identificabile, ma non per questo meno pervasivo e influente, possiamo formulare un’ipotesi su una diversa modalità di elaborare la crisi della razionalità e del potere nelle democrazie. Possiamo e forse dobbiamo immaginare che la democrazia segnali oggi non tanto il bisogno di un padre, cioè di codici maschili e paterni, che in forme più o meno evidenti e palesi, non ha mai smesso di avere, ma che necessiti più che mai di un codice dell’accoglienza, del vulnus, dell’accessibilità, della differenza che genera differenza, dell’ascolto,del senso del limite, di modalità performative di esercitare l’autorità. Ci pare che la democrazia necessiti, quindi, di darsi un codice materno che arricchisca di sé quello paterno, risarcendo alfine se stessa di un’asimmetria che forse è la principale causa della sua crisi. Perché mai si debba ritenere che solo un padre possa rappresentare l’interesse comune, non è chiaro né dimostrabile storicamente. Anzi. L’autorità può derivare da qualcosa di diverso che non sia il senso di colpa che accompagna la subordinazione al padre, e dare vita a forme di potestas capaci di autofondarsi nella relazione orizzontale tra sorelle e fratelli, secondo un diritto basato sul codice materno, meno repressivo e più aperto al mutamento. Quel codice materno che è anche dei padri, che è anche dei maschi, che pure lo tacitano fino a negarlo e rimuoverlo. Sarà allora quel codice a ispirare forme e pratiche di potere, non solo verso gli altri esseri umani, ma verso gli altri animali e la natura di cui siamo parte, in grado di elaborare la nostra aggressività in modo meno distruttivo o non distruttivo punto. Una forma di esercizio del potere che voglia esprimersi non eliminando il padre, ma fecondando il codice paterno con il codice materno: una composizione inedita che rigeneri la crisi del padre sul suo terreno, laddove egli sia indotto a riconoscere ciò che di sé ha negato, l’altra metà di se stesso: questo forse ci serve e ci pare quanto mai urgente anche per le scelte del governo locale prossimo venturo. Allo stesso tempo l’era della madre, non solo attraverso il femminile del padre, ma per voce ed esercizio diretto del potere materno, esprimendo anche il maschile della madre, può preparare il tempo della democrazia come cura di sé e del mondo, nel tempo della vulnerabilità. Perché democrazia è differenza, conflitto tra visioni del mondo, rifiuto di un regno della Necessità cui soccombano le libere alternative, combinazione tra vulnus e versus.