A pagare sono soprattutto le donne
Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

La protesta delle donne per il tempo organizzato male che non aiuta a vivere con i figli come si vorrebbe mentre si lavora, fino alla perdita della possibilità di lavorare, spesso riduce al silenzio. Una distinzione importante riguarda riconoscere o non riconoscere la paura che ne deriva; riconoscere o no la difficoltà è la prima condizione per affrontare la situazione rompendo l’indifferenza. Un’analisi della condizione lavorativa femminile in ruoli di responsabilità, riguardante sia le donne inserite che quelle che cercano lavoro con elevata formazione, in corso di conclusione in Trentino e in Alto Adige, evidenzia alcune questioni che qui anticipiamo. Se si esprime il disagio e si fa la domanda, e chi riceve la domanda la identifica come segno di debolezza, si può ridursi al silenzio o continuare a parlare. È difficile stabilire cosa si riesce a fare, perché se vi sono limiti affettivi non è facile riconoscerli: spesso noi siamo ciechi a noi stessi per molte cose. Elaborare la capacità di riconoscere anche i propri limiti è allo stesso tempo una possibilità e una scelta responsabile. La leadership appare strettamente connessa a processi narcisistici: sia come forma di centratura su se stessi, sia come compiacimento del proprio potere e della propria posizione. Il narcisismo della leadership si esprime principalmente, nelle sue forme problematiche, come compiacimento dei propri limiti e dei propri difetti, che sono in non pochi casi perfino esibiti. La leadership, infatti, pare spesso interessata da un disturbo di relazione come ha ampiamente mostrato Manfred Kets de Vries. È verosimile sostenere che una delle principali fonti di disturbo di relazione sia la struttura a dominanza di un codice sull’altro e più precisamente del codice paterno sul codice materno, nell’esercizio del potere e della leadership.

Non si tratta di evidenziare la rilevanza del codice materno per l’esercizio e l’efficacia della leadership per proporlo come alternativo a quello paterno, ma per sottolineare il paradosso della sua efficacia e della sua prevalente esclusione dall’esperienza e dalle prassi sociali, istituzionali e organizzative. Quell’esclusione si conferma, purtroppo, anche in un’epoca in cui il codice materno e le capacità femminili risultano cruciali o, come scrive Chiara Volpato, in Psicosociologia del maschilismo, costituiscono un “soggetto capitale”. “Capitale perché con la guerra, la distruzione dell’ambiente, l’incapacità di pensare l’uguaglianza di opportunità, costituisce uno dei segni dell’arretratezza umana, di quella cecità che rende breve il nostro futuro e ridimensiona le speranze di una vita dignitosa per le generazioni che verranno”. Il codice materno e il codice paterno insieme compongono la possibilità di un esercizio armonico del potere e della leadership basato su una varietà che sembra inquietare, ma il primo è tendenzialmente e sostanzialmente negato. D’altra parte ognuno dei due codici è ineluttabilmente vincolato all’altro, che lo riconosca o meno. Il misconoscimento storico e attuale del codice materno, soprattutto per quanto riguarda l’esercizio del potere, si traduce in una negazione del fatto elementare che: “Essere è essere il valore di una variabile vincolata”, per dirla con Quine. Ogni presenza, cioè, è relativa alle relazioni in cui è situata e al linguaggio che adotta. Markus Gabriel interpreta la questione sostenendo che: “Esistere è apparire in un campo di senso”. È sempre Judith Butler a suggerire che proprio nel dissolverci negli altri sta, forse, il senso dell’andare avanti, del guidare e dell’essere guidati: in quella vita e in quella libertà impossibili, estetiche e poetiche che è la forma di un’interpellazione.