La complessità della vita

Dialogo tra Edoardo Boncinelli e Ugo Morelli.

Hic et Nunc

In un incontro opportunamente interdisciplinare, organizzato da Giorgio Vallortigara, direttore del Cimec, Centro Internazionale di studi Mente e Cervello, e Roberto Battiston, Fisico del Dipartimento di Fisica, dell’Università di Trento, il neuroscienziato Edoardo Boncinelli affronterà lunedì 21 novembre il tema: “La complessità della vita e del sistema nervoso. Un esercizio di fisica”, presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia, via Tommaso Gar 14, Trento – Auditorium, alle 17,30.

Per l’occasione, in un dialogo caratterizzato dalla chiarezza e dalla sagacia tutte toscane del Professor Boncinelli abbiamo voluto esplorare il senso e il contenuto dell’incontro.

La prima questione che incuriosisce è cosa c’entra la fisica per capire il cervello e la mente?

“Al centro dell’attenzione c’è il fenomeno ‘vita’ e la distinzione tra vita e non vita, tra essere vivi e non essere vivi”. Il sistema nervoso centrale, cioè il nostro cervello, è alla base di questa distinzione. Per comprenderne la natura e il funzionamento, volenti o nolenti, dobbiamo passare dalla fisica. Non foss’altro che per il fatto che all’origine e alla fine tutto quello che c’è si origina dalla fisica e si riconduce alla fisica”.

Sembrerebbe esserci molta distanza tra le particelle elementari di cui è fatta la materia e la complessità del comportamento umano.

“Certo la via è lunga e non abbiamo che alcuni elementi che ci consentono di fissare alcune conoscenze oggi disponibili. La via lunga però non significa che non si possa percorrerla e che non la percorreremo. Se considero quello che c’è ancora da comprendere per spiegare come la materia generi la conoscenza, i sentimenti o la creatività, mi spavento, ma anche mi entusiasmo. Certamente però parto dall’assunto che tutte le manifestazioni del vivente e, quindi, anche la conoscenza e la coscienza di noi stessi siano conenssi al nostro sistema nervoso centrale e, quindi, alla base fisica di cui è composto”.

Come fa, allora, un pugno di materia grigia a produrre pensieri e creazioni anche così sofisticate come le opere d’arte e le teorie scientifiche?

“Si pensi alla percezione. Ritenevamo che fossimo ricettori passivi delle cose del mondo che si imprimevano in noi che stavamo a guardarle. Abbiamo scoperto che non è così. La retina di un ranocchio si attiva, in alcune parti, solo all’apparire di un insetto preda: anzi è proprio la sua capacità di attivarsi che la rende quello che è e che consente al ranocchio di agire di conseguenza. Così in noi, sono i nostri sensi che interrogano il mondo e, in tal modo, attraverso l’immaginazione, consentono a noi di appropriarci, mediante la conoscenza, di parti di esso. Questa dimensione attiva è di fatto un’anticipazione”.

Intende dire che conoscere è in una certa misura anticipare?

“Sì. Noi anticipiamo il mondo. Di questo c’è evidenza nella ricerca. La tensione che stabiliamo con il mondo è frutto, in buona misura, della nostra capacità di anticiparne le parti con la nostra immaginazione”.

Quale rapporto esiste tra immaginazione e creatività, un tema di cui lei si è occupato?

“Si tratta di due fenomeni diversi. Con l’immaginazione noi trascendiamo il nostro livello individuale, mettendo in atto una capacità di immaginare quello che ancora non c’è, quello che prima non c’era. La creatività è un fenomeno culturale contingente ai contesti, che chiama in causa l’unicità soggettiva. Il mio modo di essere creativo è mio e non coincide con quello di nessun altro. Se poi mi chiede una spiegazione della creatività dico che non so come si manifesta, che ancora non lo so. Posso solo esprimere delle intuizione e delle ipotesi. La filosofia specula, la scienza dimostra”.

Cosa sappiamo allora del rapporto tra biologia e conoscenza? Tra la nostra natura evolutiva e la nostra capacità distintiva di conoscere?

“Alla natura interessa che noi usiamo il nostro cervello per adattarci. Questa è la base di quello che siamo e diveniamo. Conoscere è stato ed è adattamento. Poi noi ci siamo ‘allargati’. Ci siamo evoluti e con il linguaggio verbale ci siamo estesi e continuiamo ad estenderci. Ciò ha prodotto le civiltà e quello che siamo nel bene e nel male”.

E il nostro comportamento simbolico?

“Non so se esiste o non sia una nostra rappresentazione di noi stessi. Preferisco stare con i piedi per terra e pensarci come manifestazione della natura, prestando attenzione a quello che sappiamo e incuriosito da tutto quello che ancora dobbiamo scoprire”.