Una civiltà plurale. A proposito del femminicidio

Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

Il 25 novembre è stata la giornata internazionale contro la violenza. In particolare contro la violenza verso la metà di noi stessi: le donne. Il destino di rimozione del codice materno, di quella dimensione del nostro modo di essere e di comunicare che riguarda sia gli uomini che le donne, non è una necessità biologica, ma un fenomeno storico. Siamo plurali dal punto di vista del genere e ogni essere umano, maschio o femmina che sia in base al sesso, ha a disposizione i codici affettivi maschili e femminili. Eppure li mette a tacere in base all’educazione e al genere in cui si è specializzato con la crescita. Mostriamo così ancora una volta di essere poco educati ai sentimenti e alla capacità di essere sensibili a legami civili, attenti a una buona elaborazione delle nostre emozioni e alle relazioni. Ma che cosa sono i codici affettivi? Ci aiuta un grande studioso della psiche e dell’amino umano quale Donald Winnicott: “Quando l’adattamento della madre ai bisogni del bambino è sufficientemente buono, esso dà al bambino l’illusione che vi sia una realtà esterna che corrisponde alla capacità propria del bambino di creare”. Ciò vuol dire che stiamo parlando della nostra vita, del codice vivente e delle condizioni che ci permettono di creare un ponte tra noi e la realtà, creando così noi stessi. Per questo abbiamo bisogno del “sì” e del “no”, della danza che ci crea tra realtà e possibilità. Illudere, infatti, non è solo fantasticare ma saper giocare con il mondo. in cosa si sostanzia, allora, il codice materno che è sia dei maschi che delle femmine, salvo il fatto che per ragioni storico-culturali i primi lo mettono a tacere nella maggior parte dei casi? Ebbene, il codice materno corrisponde al riconoscimento della vulnerabilità e della dipendenza come condizioni stesse della vita e dell’individuazione di ognuno di noi. Senza essere raggiungibili dagli altri e senza dipendere in una certa misura da loro, non diventiamo noi stessi. La stessa democrazia non può ridursi alla delega e alla rappresentanza se non considera la centralità della relazione viva tra le persone. L’incompetenza affettiva che caratterizza il nostro tempo è causata da una scarsa considerazione delle qualità emozionali per una buona vita. Mi chiedo allora, in questa situazione, come sia possibile scardinare il codice paterno per obbligarlo a introdurre nuovi linguaggi, ad affrontare il conflitto senza ricorrere alla violenza, ad accogliere la differenza senza ucciderla, ad arricchirsi del codice materno. Esiste una voce dell’altro paese che può essere tanto più viva nei luoghi e nelle situazioni locali come le nostre. Una voce che ci può aiutare a chiederci in che modo potremo ricominciare a sentire la parte di noi, quella femminile, messa a tacere, senza che per forza venga trattata solo con la logica delle pari opportunità o delle quote rosa. Queste ultime sono certamente azioni importanti, ma pare decisivo riconoscere che avremo una società più giusta e più libera solo quando sia maschi che femmine diventeranno capaci di dare spazio e voce ai propri codici affettivi materni e paterni. Saremo tutti più ricchi di opportunità e più educati sentimentalmente.