Guardare oltre

Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

Ma il mondo, quell'ordine che gli attribuiamo e che in esso ci pare di riconoscere, ce l'ha o siamo noi a darglielo? Qualcosa delle nostre responsabilità nell'ordine che accettiamo spesso passivamente o che più raramente trasgrediamo, emerge solo nel confronto e nella discontinuità. Essendo parte del tutto di quel mondo, forse ogni conoscenza per noi emerge al partecipare stesso di quel processo contingente in cui noi stessi diveniamo, mediante provvisorie fissazioni del flusso incessante dell’evoluzione. A un certo punto ci accorgiamo dei luoghi e dell’ambiente, forse per differenza evolutiva, o anche per la crisi delle risorse e dei nostri modelli di vita. Il linguaggio e il comportamento simbolico ci consentono di narrarci l’esperienza del percepire il mondo e concepirlo. Senza la capacità di trascenderci e distinguere noi dal tutto ciò non sarebbe possibile. Eppure mostriamo di dipendere dai canoni che noi stessi creiamo, reificandoli e sublimandoli in continuazione. Di quei canoni diventiamo spesso prigionieri, per conformismo e saturazione dei nostri linguaggi. L’immaginazione, nostra fonte di possibilità, può atrofizzarsi. Perché le immagini non esistono solo alla parete o sugli schermi sui quali trascorriamo sempre più tempo, né esistono solamente nella nostra mente. Le immagini del mondo delle quali viviamo non possono essere districate da un processo continuo di relazioni e interazioni, e quel processo lascia le sue tracce. Non solo nel territorio e nel paesaggio, ma anche dentro noi. Tra differenza e ripetizione creiamo e simbolizziamo gli ecosistemi della nostra vita e il paesaggio emerge, al punto di connessione tra mondo interno e mondo esterno, con la mediazione del principio di immaginazione. Quel paesaggio è aria, acqua, suolo, artefatti, economia, e dipende dalle nostre scelte, oggi più di ieri. Spesso guardiamo solo l’esistente e ci consegniamo alla via nota. Una recente ricerca da me condotta su conformismo e creatività conferma quello che altri studi avevano mostrato con ampiezza di verifiche: in due terzi dei casi preferiamo il conformismo al cambiamento creativo, indipendentemente dall’ambito di riferimento e anche quando gli esiti della scelta si mostrano evidentemente indesiderabili. Vorremmo che queste considerazioni e questi dati ci aiutassero a renderci conto che solo investendo sulla discontinuità possiamo avere una prospettiva di avvenire, e quell’investimento esige cultura e conoscenza per essere coltivato. L’augurio è, perciò, a guardare oltre l’esistente. Sia per chi governa che per ognuno di noi, sapendo che tendiamo a fare il contrario e a consegnarci alla via nota, ma che sappiamo e possiamo creare quello che ancora non c’è. Da quello sguardo oltre l’esistente dipende il presente e il futuro delle nostre vite e di quelle delle generazioni a cui consegniamo il mondo che abbiamo ricevuto in custodia provvisoria.