Il lavoro dimenticato

Di Ugo Morelli.
Hic et Nunc

Una notizia riguardante il più globale dei sistemi, merita la nostra locale attenzione. Quattro tra le più importanti aziende internazionali sono finite sotto accusa per un accordo illegale e clandestino finalizzato a bloccare la mobilità dei lavoratori e a evitare gli aumenti salariali. Si tratta nientemeno che di Google, Apple, Adobe e Intel. Le aziende hanno accettato di pagare 324 milioni di dollari, a fronte della cifra richiesta inizialmente di 3 miliardi, per evitare il processo che sarebbe dovuto cominciare alla fine di maggio in California. Accanto a questa notizia e ad essa strettamente collegata, sta il dato sulla disoccupazione in Italia che ha raggiunto il 12,7 per cento, mentre la disoccupazione giovanile risulta del 42,7 per cento. A collegare queste notizie, oltre alla loro drammaticità, sta la parabola del valore riconosciuto al lavoro nelle nostre società. Tutto era iniziato considerando il lavoro un costo e non un valore personale, umano, sociale e collettivo. Progressivamente sotto gli occhi di tutti si è affermata una diffidenza e una denigrazione, potremmo addirittura dire un fastidio, nei confronti di chi offre lavoro, di chi è portatore di conoscenze e capacità frutto di investimenti in istruzione, di chi, insomma, cerca lavoro. Ad accompagnare questo tragitto abbiamo visto e vediamo continue giaculatorie sui rischi della disoccupazione giovanile, da parte di tutti, e una difficoltà evidente del sindacato a comprendere, ascoltare e organizzare una domanda che si presenta come nuova e inedita. Le aziende internazionali, facendo un accordo illegale e clandestino, mostrano di voler dominare del tutto la volontà, le scelte e le opportunità, le aspettative e i desideri dei lavoratori. Le persone scompaiono con la loro storia, le loro preferenze e i loro diritti, a fronte della volontà dominante di chi detiene completamente il coltello dalla parte del manico. La stessa cosa accade quando si ascoltano le giovani lavoratrici e i giovani lavoratori precari. Non sanno non solo se avranno opportunità do lavoro futuro, né se potranno concepire un minimo progetto di vita. E tuttavia si sentono più fortunati di chi il lavoro non solo non ce l'ha ma non intravede nessuna possibilità di trovarlo. Questo effettivo disprezzo per il valore del patrimonio umano che ogni persona porta con sé non è solo un problema individuale, ma sociale e collettivo. Accanto al progetto "garanzia giovani" che, promosso e ispirato dall'Unione Europea, sta per essere avviato anche nella nostra realtà, sarebbe di particolare importanza vedere un'iniziativa locale, coordinato dagli enti privati e pubblici, capace di fare sul serio sul tema del lavoro e sul suo valore. Un tale progetto dovrebbe porsi esplicitamente il compito di convertire gli orientamenti culturali in atto, improntati a una scarsa considerazione, quando non a un disprezzo, del valore del lavoro, verso azioni che riconoscano nei fatti che il lavoro dei giovani e il loro inserimento sono i pilastri di una società civile e democratica. In primo luogo dovrebbe essere il sindacato a porsi la questione, ridefinendo la propria capacità operativa verso una domanda che si presenta nuova in molti sensi. Le imprese dovrebbero riconoscere che le competenze professionali sono il principale patrimonio per la loro capacità competitiva di oggi e per ogni innovazione possibile. L'ente pubblico, da par suo, dovrebbe promuovere, sostenere e facilitare una cultura del lavoro che ne riconosca il valore soggettivo, collettivo, civile e democratico. La misura della nostra civiltà locale, ma anche della nostra autonomia, dipende in buona parte da come consideriamo il lavoro e dall'attenzione che riserviamo a chi lavora e a chi cerca il lavoro.