Generoso Picone su Erba cedra e segreti amori, di Ugo Morelli; Il Mattino, 7 giugno 2014

Hic et Nunc

«Apprucundìa». Chissà in quali delle categorie interpretative della malinconia Jean Starobinski avrebbe catalogato il sentimento che con caparbia gelosia Giovannina custodisce. Quella cosa per cui «certe mattine mi svegliavo che il sole nasceva dritto e tutto sembrava e tutto sembrava girare come si deve, ma poi bastava un niente e allora cominciavo a domandarmi che ci facevo dov’ero, perché non avevo scelto un’altra via, come mai avevo preferito alla fine vivere da sola». Ma le bastava poco per evitare di piombare nell’acedia, in quella disperazione muta che pure altri avevano sperimentato e subìto, lei si guardava intorno, si convinceva di essere nella vita e nel posto che voleva.
Si consegnava all’«appruncundìa» facendosi trasportare nei posti più strani e lontani, in una specie di mondo a parte che resisteva mentre il mondo reale stava mostrando la sua fine.
Giovannina è un personaggio che sembra uscito da una fotografia di Frank Cancian o di Ermanno Rea quando fissarono in bianco e nero i volti, le rughe e la miseria cupa ma dignitosa dell’Irpinia tra il 1957 e il 1958. Ha una carnalità vitale, pare essere animata da un soffio anarcoide che la rende libera e ribelle, non fosse per lo spleen ogni tanto in agguato. Se ha un senso rintracciare qui il percorso del pensiero meridiano di Albert Camus, lei potrebbe interpretarne l’icona nella quotidiana volontà alal rivolta. È un personaggio da romanzo e non a caso Ugo Morelli - scienziato cognitivo e psicologo - si è affidato a lei per raccontare il tempo in cui la sua terra, l’heimat, il luogo delle radici antiche si trasfigurò e divenne altro da quello che sarebbe potuta essere. Giovannina è lo sguardo e la voce di «Erba cedra e segreti amori» (Zandonai, pagg. 207, euro 12), il libro di Morelli - irpino a Trento e docente all’Università di Bergamo - che oggi alle 17,30 verrà presentato nella Sala «Gesualdo» del Palazzo Marchionale di Taurasi con gli interventi musicali e di letture di Marino Cogliani, Maurizio Cogliani e Mimma Virtuoso, le riflessioni di Giancarlo Blasi, Rosanna Bruno, Walter Lepore, Fiorita Morelli e Ugo Santinelli e l’intervento conclusivo di Luigi Famiglietti. L’organizzazione è del Comune di Taurasi con l’associazione «Hirpus».
Per scriverlo, Morelli ha utilizzato l’inchiostro della malinconia di Starobinski. «Erba cedra e segreti amori» costituisce il testo attraverso cui lui ha fatto i conti con la sua demartiniana terra dei rimorsi, «rimpianta se lontana ma mai apprezzata se vicina». Ha voluto individuare un punto di frattura, la ferita in questo rapporto negli anni immediatamente successi al terremoto del 21 agosto 1962, che colpì innanzitutto l’area della sua Valle Ufita, proponendosi come laboratorio in negativo di quanto poi sarebbe avvenuto dopo l’altra tragedia del 23 novembre 1980. Nell’Irpinia povera e contadina, lontana dalla modernità, le ricostruzioni hanno prodotto gli affarismi degli assessori e dei geometri, la nuova classe dirigente del cinismo mercantile e della spregiudicatezza diventata regola di comportamento: il Potere dominante sull’anima «piegata alla logica del chiedere, dell’aspettare, non alla formazione di un nuovo cittadino».
«Le impastatrici della ricostruzione hanno fatto girare la corruzione della mentalità e più danaro che cemento». L’equilibrio del mondo di Giovannina e del Padrone di tutte le cose, della Zingara, del ciabattino, dello zio prete e degli altri personaggi che compongono la cosmogonia della terra di mezzo battuta dal vento, viene sconvolto e fa uscire fuori al meglio certi caratteri. Il vero dramma di cui Ugo Morelli parla è proprio nell’epifania del peggio delineata in quei frangenti, dopo il 1962 e dopo 1980: quando l’Irpinia magari non avrebbe potuto sanare le sue arcaiche ingiustizie tra gli essere umani, ma comunque conservare la bellezza dei luoghi. È accaduto, invece, che il criterio della sopraffazione è rimasto intatto e irrobustito riversando le sue leggi sulla natura, devastandola e deprimendola in un paesaggio che rende eternamente immalinconiti: «Nostalgici di quello che non c’è più e chissà se c’era mai stato prima, almeno così come la memoria riscrive le cose, le persone e il mondo».
La verità è che - lo sanciva Gertrude Stein - «la geografia include abitanti e contenitori»: quindi, come in un procedimento mnestico alla Giordano Bruno, gli uomini fanno i luoghi e i luoghi hanno il volto degli uomini. Il mondo che ne è venuto ha generato il difetto di adattamento che in Giovannina è «appruncundìa» e negli altri è crisi della memoria, fallimento di una faccenda che alla fine non importa più a nessuno. Il terremoto è entrato dentro, ha scavato con le sue scosse le profondità più recondite, ha incistato mente e corpo, ha ricostruito persone spente, loro sì davvero preda dell’acedia.
L’erba cedra è la madeleine di Morelli. È la reliqua secolarizzata del ricordo che piaceva a Walter Benjamin, è il sapore di una infanzia perduta, è il simbolo di un tempo che prometteva speranze e ha consegnato tradimenti.


Erba cedra e segreti amori