Monica Facheris su Erba cedra e segreti amori di Ugo Morelli

Hic et Nunc

La vergogna è il sentimento che salverà noi tutti - (da Solaris, Andrej Tarkovskij, 1972)

Ogni vita è particolare ed ogni vita ha le sue sfide, intime e collettive insieme. Per qualcuno trovare il proprio giusto collocamento nel mondo è un affare più aspro, soprattutto se non si possiede una natura criticamente selvatica ed il conformismo qualunquista dilaga. Le radici marciscono senza che se ne comprenda la ragione, in uno stato di spaesamento che fa sentire sopraffatti. Molti luoghi in tutti i tempi hanno vissuto questa condizione ed ognuno di essi ha una storia da recuperare per potersi ritrovare; questa è la sfida più grande: quella della memoria, della consapevolezza. Ugo Morelli, in questa sua prima opera narrativa, la affronta restituendoci la voce dell'Irpinia, la sua terra d'origine. Regione storico-geografica del Sud che non ci viene semplicemente descritta ma fatta toccare, ascoltare, assaporare, patire; ci viene fatta risalire alla coscienza.

Il racconto verte attorno a due eventi cardine avvenuti nel 1962 e nel 1980. Due fenomeni naturali, due terremoti, che con le loro tragiche conseguenze sul territorio e sulle persone che allora lo abitavano, hanno costituito una rottura traumatica tra un “prima” e un “dopo”.

A livello stilistico, Morelli sembra compiere, non tanto una “ricerca” ma, piuttosto, una scelta di senso che punta a renderci percepibile questo trauma. Una scelta dunque, che si riscontra nella voce narrante, nel modo di esprimersi di questa e nella struttura stessa in cui il testo è articolato.

Gli occhi di una donna dallo sguardo da strega e dall'animo semplice ma implacabile, sono la guida designata dall'autore. Perché una donna? Anzitutto, perché il sesso femminile è la vittima prediletta per ogni sorta di violenza, in ogni società, in ogni tempo; ma anche perché sono gli esseri che maggiormente hanno la capacità di provare una gamma quantitativamente superiore di emozioni, di sentirle più fortemente e di viverle.

Nata in un paesino dell'Irpinia, come Morelli, di lei non conosceremo il nome se non alla chiusura del libro.

Ella ci conduce per un mondo in frantumi: non esistono capitoli ma brani, piuttosto brevi ed intesi. Ognuno di loro contiene l'elemento chiave della vita di alcune persone del posto. Un piccolo faro sembra accendersi di volta in volta sopra un palcoscenico abitato da attori addormentati, come pietrificati vivi nel tempo, nell'attesa di una voce che restituisca loro il respiro.

Infine, il linguaggio utilizzato è ciò da cui il lettore, probabilmente, si sente più colpito a primo impatto. Stupisce come Morelli riesca a far emergere in maniera conturbante la psiche femminile in tutti i suoi aspetti, intrecciandoli giocosamente con gli elementi della natura: i suoi tumulti, la sua impulsività, tutta la poesia che drammaticamente la costituisce. Da questa psiche, come acqua dalla fonte, sgorga una lingua complessa: schietta, giocosa, infuocata, impetuosa, ma gentile al tempo stesso. Lo sguardo della donna ci trapassa e diventa anche il nostro; la sua lingua-femmina ci trasporta con il magnetismo di un richiamo primario.

Abbandonandoci a questa donna, facilmente arriviamo a cogliere la similitudine fra la personalità di lei e l'erba cedra, pianta tipica di questa Regione: tanto semplice quanto profumata, estremamente bisognosa di sole e acqua, simboleggia la purezza e l'amore. I suoi impeti pulsionali, che non smettono di stupirci, si accompagnano a un pensiero deciso, basato su di una lucida percezione del mondo.

La coincidenza simbolica fra lei e l'erba cedrina fa sì che il suo modo di vivere ci possa apparire metafora della disperata resistenza dell'Irpinia agli abusi degli uomini. Da fanciulla comprende infatti che non si sarebbe mai sposata, per non scivolare nello svilimento che il conformismo della società avrebbe comportato. Ribaltando le logiche del controllo dominanti, usa la seduzione al posto della violenza quale scelta libertaria di vita. A dispetto della misera condizione femminile, ella cammina fuori dal tracciato comune, ha un'intelligenza vivace, curiosa, che sa mantenersi critica da quel punto di osservazione che sta sul limitare del proprio contesto, senza peraltro uscirne mai. Acquisisce un linguaggio “misterioso” e prezioso, in quanto lontano dall'esprimersi rozzo a cui è abituata. Proteggerà questo sapere tenendolo segreto tutta la vita ma lo userà ora per rivolgersi a noi: una limpidezza espositiva dalle note quasi liriche, con le quali ci svela una natura quasi incontaminata e generosa, si amalgama con una discorsività colloquiale; parole del gergo si inanellano qua e là nelle frasi, con grazia. È così che tra fronde di alberi, frutti che cambiano colore alla luce di ogni cielo, acqua fresca e corrente, si possono sentire anche i venti che soffiando portano ogni tipo di passione a modellare la cultura e il modo di abitare del luogo. Le fughe d'amore, le relazioni clandestine, gli adulteri, le maledizioni; i miti, le musiche, i balli, le bambole del teatro, il mercato; il lavoro nei campi, il freddo, le mele croccanti, il fieno, la fame, il pranzo che celebra la fine del raccolto. E poi le barbarie, gli abusi edilizi che strappano ancora un pezzo di verde, il pozzo che si prosciuga, i ricatti, i soliti noti che si prestano a sporcarsi le mani per chi sta più in alto in cambio di quattro soldi, misto al disprezzo passivo degli astanti.

Tutto questi elementi si intrecciano nella costruzione di un contesto dove la cura, l'attenzione nel gesto, la risolutezza nel difendere i frutti della propria terra, così come il rispetto che il saper amare implica, sono sempre meno valori concretamente perseguibili. L'anima era piegata alla logica del chiedere, dell'aspettare, non alla formazione di un nuovo cittadino e mancava finanche il richiamo di un mito che legasse ai luoghi.

Ed infine il terremoto.

Trauma inelaborato. Come tale è la linea rossa che attraversa, più o meno sommessamente, tutto il racconto. È un simbolo rappresentativo anch'esso di questi luoghi, l'apice della drammatica rivolta della terra contro ogni torto e violenza subiti. Ma il crollo che non ha fatto emergere, di reazione, quell'amore per la propria terra necessario a difenderlo, anzi, è stato l'occasione perché avvenissero illeciti inediti (vedi l'inchiesta “Mani sul terremoto”, nel filone Mani Pulite). Le nuove tecniche e tecnologie per la lavorazione della terra, l'avvento dell'automobile, l'irruzione della televisione, non sono state impiegate nello sviluppo del territorio e della cultura, ma piuttosto per favorire questa violenza sistematica.

Fu sopratutto nelle coscienze e nelle abitudini che si aprirono crepe e fecero disordine nel tempo e nella testa delle persone. In quelle crepe si infilarono i grandi cancri dei potenti del malaffare rivestito di politica e poteri, impastato fino al collo di tresche e denaro. Non si sarebbero infilati, però, senza i piccoli cancri delle scelte di ognuno che, dentro al grande cancro ha dato il proprio contributo alla costruzione del disordine e della fine di un intero mondo. Quando e se si cercheranno, bisognerà dire che i responsabili sono stati tutti.

La deriva è ormai raggiunta. La voce narrante, oltre a usare spesso la parola “presenza”, ci ripete che niente fu più come prima. Nel testo il terremoto ritorna costantemente: la crisi del senso lascia un intero mondo sospeso, le sue genti spaesate. Quella era la fine di un mondo; una fine capace di protrarsi e di generare vergogna e riti per farvi fronte e, poi, di produrre una catastrofe culturale (…): un vuoto identitario.

Sopra a tutti i frammenti di vite degradate di cui ci racconta la donna, emergono però gli incontri. Matrici di significato che tengono viva la memoria in maniera del tutto particolare e che fanno della loro esistenza una missione, una vocazione. Emerge con loro quel senso di identità, quel legame che è alla base di ogni possibile atto d'amore verso il mondo che si abita; ciò che è necessario per far crescere qualcosa che durasse nel tempo e fosse di legame e di ritorno alla propria storia: era l'unica possibilità di dare forza e coraggio a queste persone. Laddove l'identità è una costruzione di senso condivisa e non individuale, e la crisi è da intendersi come l'incapacità di rintracciare quei significati che permetterebbero di far fronte ai drammi inevitabili della storia.

Abitare, esserci, agire con cura e dedizione perché la propria casa sia rigogliosa, è un atto continuo di responsabilità. Se poesia (dal greco poiesis), si riferisce all'azione che segue al pensiero, nonché ai suoi effetti concreti sull'ambiente, allora questi personaggi sono poeti di vita.

La passione è l'impulso, innato fuoco della vita, l'amore è la cura che richiede in più la riflessione. Se la prima può vivere da sé conducendo gli altri dove vuole, il secondo necessita della responsabile e totale offerta di sé: ci si trova sull'intersezione tra gesto e amore, tra amore e arte, tra rottura degli schemi e memoria, tra cura e presenza. Tenere memoria, consapevolezza, amare, è dunque saper indossare senza vergogna il legame con un luogo e poter sentire finalmente che ogni angolo è al suo posto e ogni filo d'erba sai dov'è.

In questa terra sempre più arida, che è di tutti e di nessuno, come una prostituta, in cui ognuno pensa a sé e Dio per tutti, anima e corpo della nostra eroina occupano lo spazio intermedio tra passione e amore: lei sa bene che in questo contesto conoscere la pienezza dell'amore non è possibile: esso può arrivare solo a riverberi, per vie traverse, pezzi di bellezza come gli acini di melograno, da ricercare con tutta la forza della passione ma sopratutto da tenere celati, affinché non vengano travolti dalla devastazione. Testimoniare significa quindi esserci nel particolare modo che vede la persona in relazione con il proprio contesto. E poi coltivarla, farla germogliare nelle persone e nel tempo, perché essa non venga a sembrare una malattia solitaria per la quale si arrivi a vivere di ricordi che nessuno capisce; ma qualcosa che generi sempre nuovi significati da condividere.

È lo straniero a sentire e ad esternare questa appartenenza, forse perché ogni luogo bagna le radici in un misto di bellezza e vergogna; ma sarà proprio un fanciullo nato qui a suggerire anche che la casa è come la madre e il posto scelto per vivere è come il mondo intero.


Erba cedra e segreti amori