Conoscersi, l'arma migliore*

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Che cosa ci posso fare io, nei luoghi dove vivo; che cosa possiamo fare noi qui; è la domanda che mi sono posto in questi giorni in cui sembra che la logica dell’amico-nemico prenda il sopravvento. Mi ha aiutato la frase di Renzo Fracalossi che ci ha avvertito del rischio che “l’orrore abiti nella porta accanto”, in occasione della presentazione del suo libro “La scuola dell’odio”. Ci si sente impotenti, eppure proprio nelle società locali, nelle relazioni di vicinato e nella nostra quotidianità ognuno di noi può fare molto. “Non siamo sicuri che le parole possano salvare delle vite ma sappiamo con certezza che il silenzio uccide”, hanno scritto recentemente gli operatori di Medici senza frontiere. Vediamo cosa possiamo fare, tra l’altro. Prima di tutto sapere che le ricerche che si occupano di pregiudizi e di processi di esclusione e disumanizzazione – quei processi che portano a definire “disumano” chi si comporta in modo molto difforme dalle nostre attese – mostrano come i pregiudizi si possano superare. Il principale contributo per riuscirci è parlarsi e parlarne. Mai come oggi è necessario parlare con chi è diverso da noi e conoscersi. Entrare in contatto e avere occasione per stare vicini consente di vedere quante affinità e cose in comune abbiamo con gli altri, anche molto lontani, pur nelle differenze. In molti esperimenti è stato possibile osservare che la disponibilità ad avvicinarsi fisicamente, a parlarsi e a trovare terreni di condivisione, cresce all’aumentare dei tempi e delle occasioni di contatto. Considerando che il sacro sta diventando uno dei terreni di divisione, e non ritenendo che del sacro non si debba parlare o sul sacro non si possa ironizzare, un altro terreno decisivo di lavoro è l’educazione all’antropologia religiosa nelle famiglie, in tutte le occasioni educative, e a scuola. Possibile che sia così difficile, ora che conosciamo il mondo intero e le diverse espressioni del sacro nelle diverse civiltà, riconoscere l’importanza di studiare le differenze, mentre valorizziamo la cose che ci accomunano? Tutti i propoli credono, in modi diversi, e si affidano al sacro per cercare di elaborare le domande fondamentali della vita. La conoscenza, insomma, ci potrà salvare. Non solo quella delle ricerche e cattedratica, ma quella che ci possiamo scambiare nelle nostre relazioni quotidiane. Gordon W. Allport aveva individuato, fin dal 1954, come sia l’ignoranza, nel senso di ignorare, riguardo all’altro, e la non considerazione dei fatti e comportamenti che ci accomunano, a farci costruire immagini distorte e a creare prima diffidenza e poi ostilità. Se vicino è il pericolo, che vicina e di tutti sia l’azione per scongiurarlo.

*Corriere del Trentino, 20 gennaio 2015