Cronaca di fallimenti annunciati

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

Dopo la deturpazione dell’opera di Antonello da Messina per una discutibile campagna promozionale, il supermanager italiano dei beni culturali mette mano al pezzo più simbolicamente prestigioso del patrimonio nazionale: il Colosseo. Una gara per piazzarlo nel giro d’affari internazionale che ricorda il grande Totò che in un celebre film vende la fontana di Trevi. Se è vero che la mente umana tende a dipendere dalla propria storia, si tratta di nient’altro che di una cronaca di una morte annunciata: i beni culturali alla stregua di un Big Mac. Ma non è neppure così. Perché persino la multinazionale dell’hamburger sta affrontando i fallimenti di un certo modo di intendere e praticare il management e il marketing. Quella multinazionale ha capito, cioè, che deve connettersi ai luoghi e alle culture e rendere più civile la propria presenza. Ecco, questo è il punto che intendiamo approfondire: i modelli di management che albergano nella testa del supermanager sono i vecchi modelli del management razionale che agisce in modo lineare e indifferente ai luoghi e alle contingenze culturali, non solo, ma indifferente ai contenuti e agli oggetti della propria azione. Per quei modelli di management “questo o quello per me pari sono”: sia che si tratti di bulloni, di saponette o di opere d’arte, il metodo è ritenuto oggettivo e non cambia. Vige solo l’utilitarismo autointeressato e il profitto. Le decisioni sono razionali e basate sulla massimizzazione del risultato per chi investe. Per chi non l’avesse capito stiamo parlando dei modelli manageriali che hanno generato la catastrofe del mondo intero in cui siamo ancora del tutto immersi. Quei modelli che nessun amministratore delegato di un’impresa privata oggi accetterebbe nella propria impresa, vengono acquisiti come ferri vecchi da ministri sedicenti poeti in odor di efficientismo e liberismo, che si occupano irresponsabilmente di beni pubblici tra i più preziosi, perché unici e non riproducibili. Che cosa contraddistingue quei modelli di management e marketing? La loro fallibilità, i loro fallimenti acclarati. Si tratta, come la letteratura e la ricerca ci ricordano da circa mezzo secolo, del più evidente caso di fallimento di una prospettiva teorica e applicativa. Le management failures sono dovute proprio alla standardizzazione delle decisioni, all’applicazione di tecniche lineari, alla pretesa di agire in base ad una razionalità olimpica che determina tutto dal centro, all’indifferenza rispetto all’oggetto dell’azione manageriale. Un'altra prospettiva di management si è affermata e si afferma nel frattempo. Quella che parte da una razionalità situata, si attrezza per la gestione dell’incertezza, assume la resilienza e l’apprendimento come risorse strategiche, è attenta alla creatività e all’innovazione e si basa su una prospettiva di economia civile. Ne emerge un management elegante e umanistico, quello praticato ad esempio da Elvira Sellerio, raffinata signora dell’editoria italiana scomparsa in questi giorni, che ha saputo coniugare una grande impresa culturale con l’efficienza a partire dal nulla. Quello stesso management praticò Adriano Olivetti, con un esempio-mondo che pose l’interazione fra alta cultura e impresa innovativa al centro di un progetto che ha fatto grande l’Italia nel mondo. È bene perciò sapere, che prima ancora della volgarità che esprime, lo stile (si fa per dire) del ministro italiano dei beni culturali e del suo supermanager è fallimentare sul suo stesso terreno e loro, irresponsabilmente, non pagheranno gli effetti del loro disastroso operato perché diversamente dalla logica d’impresa che predicano e non praticano, non rispondono direttamente in solido di quello che fanno.
Sorriderà con un ghigno il vignettista del New Yorker che qualche tempo fa aveva disegnato così la situazione: “Il 60% del patrimonio culturale è in Italia”, diceva un protagonista di una sua vignetta, e il suo interlocutore gli rispondeva: “E il resto è al sicuro!” Il supermanager e il suo ministro sono un’agghiacciante realtà che supera la fantasia di quel vignettista.
Casa Filette, 6 agosto 2010.