Quale crescita?

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc


Mentre si avvicina il festival dell’economia dedicato ai luoghi della crescita, viene abbastanza naturale riflettere su quella parola e su che cosa oggi possa voler dire crescere. Pochi concetti sono sottoposti a una vera e propria rivoluzione di significato come il concetto di crescita. Non riusciamo più oggi a identificarci del tutto con la convinzione che di più sia sempre meglio. Aumentare i consumi, o aumentare le quantità di cibo che mangiamo, oppure aumentare le quantità di risorse ed energie consumate, sono prospettive che ci trovano in una difficoltà di condivisione immediata o anche meditata. Allora la crescita si collega forse più adeguatamente a un incremento della qualità nella produzione, nel consumo e nella vita di ogni giorno. Qualità dell’aria, dell’acqua, del cibo, delle condizioni lavorative, della vita nelle città. A dover crescere in questi casi sarebbero non le quantità, non le sostanze, ma le intensità, cioè i modi di fare le cose, le forme della produzione, la conoscenza investita, le relazioni e i legami tra le persone, le opportunità di autorealizzazione e di libertà individuale e sociale. Si tratterebbe, insomma, di pensare e concepire un modello di sviluppo diverso, in cui la fiducia reciproca e il dono sarebbero condizioni costitutive dello scambio; in cui lo scambio, non basato sull’alimentazione dell’egoismo estremo, sarebbe un gioco di reciprocità appropriato. Forme cooperative fatte di solidarietà e mercato darebbero così vita a una crescita appropriata, perché umana ed economica allo stesso tempo. Utopia? No, se leggiamo, ad esempio, che degli oltre venti milioni di italiani che si connettono ogni giorno ad internet, l’ottantasette per cento è un donatore e almeno una volta all’anno sostiene un progetto con finalità sociali. All’opera in tutti quei casi è una relazione di dono, un’intensità esistenziale, che dà vita alla donazione, che è solo la sostanza. A crescere, quando c’è il dono, non è solo la sostanza, ma soprattutto l’intensità, che qualifica le relazioni, aumenta il valore del legame sociale e migliora l’esistenza delle persone. Se le relazioni sono solo strumentali, asservite cioè allo scambio fine a se stesso, rischiano di bruciare la qualità umana e sociale piuttosto che alimentarla. Una crescita che non si misuri in termini di qualità umana, ma solo in termini strumentali causa l’erosione della vita relazionale delle persone, come è evidente sotto gli occhi di tutti. Diventiamo solo consumatori senza essere cittadini; diventiamo individui soli perennemente connessi ma mai in relazione viva con gli altri. Per dare senso all’alienazione che ne deriva facciamo anche del tempo cosiddetto libero qualcosa da riempire per sottrarsi alla logica strumentale. Se, invece, la crescita è centrata sull’aumento della espressività umana, può avere valore in sé, non solo perché rimanda a qualcos’altro.