Luca Mori risponde a Ugo Morelli su Mentalità totalitaria e ostacoli al conflitto

Di Luca Mori.
Archivio Sezione Hic et Nunc


Ciò che accadde nel gennaio 1994, con l’annuncio della “discesa in campo” di Berlusconi e la successiva vittoria elettorale del suo partito, sembrava interpretabile alla luce di alcuni fenomeni ben noti anche in altre democrazie: la nascita di un partito “piglia-tutto”, con un leader che presentava la propria biografia come un’epopea, sostenuto da una campagna pubblicitaria sproporzionata e condotta con tutte le risorse del marketing elettorale, approfittando di un “vuoto” simbolico improvviso e inedito nel panorama politico nazionale. Spettacolarizzazione del messaggio e dell’uomo politico, presentati secondo i vincoli e i codici semplificati adatti ai mass-media; elaborazione di nuovi frame ispirati a pregiudizi diffusi e aspettative miracolistiche latenti; “killeraggio politico” fondato su calunnie e demonizzazione dell’avversario; populismo e tentazione del dispotismo “morbido” e paternalista erano tutti fenomeni già previsti e descritti nelle democrazie contemporanee, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
A quindici anni di distanza si deve invece dire, e ribadire, che Berlusconi non è un deja-vu, un caso catalogabile tra i tanti. Ciò a cui assistiamo è una mutazione genetica mai documentata della democrazia, in cui le gravi omissioni dei politici all’opposizione e il deficit dei meccanismi regolatori previsti dalla Costituzione ha reso possibile la concentrazione in una sola persona dei tre poteri realmente influenti nelle società contemporanee: potere politico, potere economico e potere mediatico. In siffatta triangolazione, il potere politico non tollera di essere ulteriormente tripartito: l’esecutivo, il capo dell’esecutivo, pretende di incentrare su se stesso e sulla propria volontà – spacciata come visione – il legislativo e il giudiziario. Egli solo basta a giustificare se stesso e a stabilire la legittimità delle proprie decisioni. Andando più a fondo, però, quel potere che si dice politico col pretesto di un’investitura politica, è propriamente un potere anti-politico e anti-pubblico, in quanto asserve il pubblico al privato. Un tale potere agisce su due livelli contemporaneamente: nasconde esibendo. Spettacolarizzando tutto, nasconde l’essenziale e potrebbe essere in grado di riuscire a far credere di aver combattuto come mai prima l’evasione fiscale, condonando la propria evasione.
Persino gli ex-compiacenti e conniventi alleati, fuoriusciti dai ranghi, parlano di fascismo mediatico; persino un settimanale come Famiglia Cristiana descrive genericamente la gente – in cui presumibilmente vanno fatti rientrare molti che appartengono anche a quella stessa famiglia – come narcotizzata dalla televisione. Sarebbe il caso di riuscire tutti ad uscire dalla narcosi, a inventare modi per apprenderne a uscirne. Compito forse presentuoso, ma altrettanto urgente, perché in gioco non c’è soltanto il vilipendio dell’etica, ma anche quello della politica e del rispetto, del senso stesso dello spazio pubblico, che vive della polifonia del conflitto.

Vedi:
Mentalità totalitaria e ostacoli al conflitto
Vito Mancuso e il difficile risveglio conflittuale dal conformismo adesivo verso un leader