L'ingiustizia e l'esclusione contuano, anzi...

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


“Non si può distruggere un’idea battendoci sopra. Anzi, se si lascia un’idea nel proprio angolino, se non la si maltratta, sparisce dal nostro spazio di discussione e si indebolisce”. Quanto scrive Joann Sfar vale particolarmente per l’idea dell’uguaglianza delle opportunità tra donne e uomini e per la ricerca delle condizioni dell’emancipazione femminile. Anche se l’indifferenza ci batte, sopra quell’idea che chiede ascolto e giustizia. Mentre scopriamo che siamo primi in Italia per la presenza di giovani che non lavorano, non studiano e non cercano lavoro, verifichiamo anche che quel problema riguarda le donne per il quaranta per cento in più degli uomini. “Bisogna impegnarsi il doppio per avere la metà” mi dice una delle tre donne che lavora in un ufficio di un’azienda locale. Non è lei la responsabile dell’ufficio. Quel ruolo è ricoperto da un’altra donna. Quest’ultima mi racconta che dovrà lasciare quella posizione perché il marito è entrato in rotta di collisione con l’azienda in cui lei lavora, in quanto svolge un’attività concorrente. Ciò comporta un sistematico processo di esclusione nei suoi confronti. Lei, oltre a trovarsi in conflitto con l’azienda deve gestire la delicata situazione familiare cercando un equilibrio possibile con il marito. Emerge tutto il disagio di vivere una condizione impropria, in cui lei si ritrova ad essere penalizzata per una questione che semmai dovrebbe riguardare il marito, anche se, pure in quel caso dovrebbero valere solo le leggi della concorrenza leale. Tra relazioni ravvicinate nei sistemi locali, laddove si conoscono tutti e si intrecciano aspetti culturali, aspetti affettivi e affari, e retaggi che continuano a condizionare pesantemente il rapporto tra donne e lavoro, la responsabile dell’ufficio deve seguire anche i due figli, in ragione degli impegni professionali del marito. Ne deriva che ha scelto di rinunciare alla sua posizione di responsabile e di prendere un part-time. Lo racconta con grande dispiacere perché ha studiato con passione la materia nella quale lavora e ha continuato ad aggiornarsi. Come sempre bisognerebbe interrogarsi sui costi di queste dinamiche sociali. Si tratta prima di tutto di costi umani. Il disagio per il tradimento di un’aspettativa di autorealizzazione e la demotivazione che ne deriva sono costi personali e umani che condizionano una vita intera. Vi sono costi relativi all’ingiustizia e al sentimento di esclusione, che incidono sul legame sociale e sulla socialità. Vi sono, inoltre, evidenti costi economici, nel momento in cui una competenza professionale distintiva viene degradata e non potrà più esprimersi a vantaggio di se stessa e dell’azienda in cui lavora. Non bisognerebbe aspettare oltre per mettere mano all’azione concreta per l’emancipazione femminile e per la giustizia sociale relativa.