Autonomia e partecipazione

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


immagineL’unica condizione necessaria perché il male trionfi è che le persone per bene non facciano niente. Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all'azione. Così esprimeva un’importante verità, Edmund Burke. Quella verità torna alla mente osservando come stanno andando le cose per l’autonomia trentina e la riforma dello statuto. Ne ha dato conto il lucido editoriale di Luca Malossini sul Correre del Trentino di domenica e la cosa merita ulteriori approfondimenti. Non è dei contenuti istituzionali e giuridici che intendiamo parlare; se ne occupa con la solita competenza Roberto Toniatti su questo giornale. Bensì vorremmo sussurrare alcune considerazioni sulla sensibilità popolare e la partecipazione intorno al tema. Al primo incontro della due giorni dedicata al confronto tra Consulta e cittadinanza sui temi affrontati nello statuto speciale del Trentino Alto Adige si sono presentati una decina di cittadini. Il vicepresidente Woelk ha dichiarato al Corriere del Trentino che si aspettava un’affluenza maggiore e che “quando si tratta di farsi sentire e di esporre le proprie opinioni sembra che ci si sottragga”. Se il laboratorio è un flop bisognerebbe chiedersi perché. Qualche riflessione su che cosa sia la partecipazione e su perché oggi è così in crisi porta a riconoscere che spesso essa è confusa con l’informazione a una via. Non basta informare per aspettarsi che le persone siano disposte a prendere parte investendo tempo e impegno. Sarebbe necessario comunicare, su una questione così importante; e la comunicazione si sa è cosa diversa dall’informazione, perché implica l’ascolto e la condivisione di codici comuni. Se l’autonomia ha la rilevanza che ha, per avere partecipazione sarebbe importante andare anche oltre la comunicazione, dando spazio a forme di consultazione, creando occasioni molteplici al di fuori dei tradizionali spazi e percorsi rappresentativi. Ma forse per ottenere una effettiva partecipazione non basta neppure la consultazione, come si evince con evidenza dagli studi in materia. Ognuno di noi, infatti, si dispone a metterci del proprio e a impegnarsi a patto che percepisca di poter avere almeno un margine di negoziazione. Negoziare vuol dire che i giochi non sono fatti e che le parti non stanno ferme. Vuol dire percepire che la presenza può incidere, prima di tutto a livello di confronto e, poi, semmai, a livello di decisione. L’occasione statutaria avrebbe dovuto riprendere dai significati che l’autonomia ha avuto, ma in particolare da quelli che ha effettivamente assunto, nelle società locali e nelle rappresentazioni e nell’esperienza delle persone. Allo stesso tempo avrebbe dovuto corrispondere a una strategia di orientamento e governo delle comunità interessate. Senza questa attenzione al metodo e senza la cura del rapporto tra la sostanza e la forma è difficile coinvolgere le persone. E ce ne sarebbe davvero bisogno, se la classe politica spostasse per un momento la propria attenzione da beghe elettoralistiche estenuanti.