Paura del futuro

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


immagineSi potrebbe dire che nel rapporto tra giovani, lavoro e senso di un avvenire possibile nasca una paura di nuovo tipo. Una paura priva di oggetto. La paura di solito è identificabile con qualcosa, con una causa o un motivo. Nell’esperienza di precarietà, provvisorietà e emarginazione dei giovani oggi, la paura che esprimono non riescono a ricondurla a un oggetto o a una causa identificabili. In senso lato e profondo a loro fa difetto una prospettiva e, nella maggior parte dei casi, questa situazione si va normalizzando. Nel senso che non si soffermano a pensarci e vivono uno stato di accettazione. In sostanza mostrano di avere paura e da quella paura si difendono o non guardandola in faccia o negandola. Nell’osservazione delle dinamiche della precarietà lavorativa che, è bene non dimenticarlo, è diventata un sistema e un modo normale di rapportarsi al lavoro, i giovani, anche quando stanno facendo un forte investimento in formazione, hanno paura. Se ci si chiede di cosa hanno paura emerge che l’esclusione è una delle ragioni principali. Hanno paura di non entrare nel mondo del lavoro e di esserne esclusi. Hanno però anche paura di non essere all’altezza delle condizioni per farcela, come se tutto quello che fanno per prepararsi non bastasse mai, in quanto ciò che veniva indicato come necessario da un’offerta di lavoro capricciosa che ha il coltello dalla parte del manico, in poco tempo non è più valido. I giovani, rispetto al lavoro, mostrano di avere paura delle mortificazioni: nei racconti che si fanno tra loro, emerge l’insieme delle pratiche di disprezzo delle competenze e dei saperi che sperimentano nei periodi lavorativi precari, in cui le capacità di cui sono portatori non solo spesso non sono riconosciute, ma le realtà in cui sono provvisoriamente inseriti non mostrano l’interesse innovativo a valorizzarle. Quando si analizzano i ruoli lavorativi ricoperti nei periodi di precarietà lavorativa, questi appaiono friabili e poco consolidati; lo stesso vale per la collocazione lavorativa che, spesso, è del tutto incerta. Proprio per rendere fungibile la prestazione lavorativa, mantenendola provvisoria, non si definiscono ruoli e confini di ruoli, facendo in modo che l’esercizio del potere nei confronti della precarietà risulti il più possibile arbitrario. Intanto i giovani che fino a qualche tempo fa attendevano, oggi non è che non attendono più, ma esprimono una diffusa disillusione riguardo alla transitorietà del tempo presente. Più che altro si sentono fungibili a scelte verso cui sanno di non avere voce in capitolo. Inutile dire che si percepisce un cambiamento nella disponibilità a mettersi in gioco, in quanto la disillusione sembra essere penetrata nelle coscienze di chi aspetta e, per tutelarsi, si orientasse a non aspettare più, consegnandosi a questo presente.