Lettera Internazionale 105

Archivio Sezione Hic et Nunc


Cari amici, cari lettori,
sta per uscire in libreria il n. 105 di L.I., dedicato al paesaggio.


Copertina (PDF) / sommario (PDF)

Molti credono che il paesaggio sia qualcosa che vive di vita propria, una specie di “edizione coltivata”.

della natura: ci si mette alla finestra, si sale in cima a una montagna, ci si ferma sul ciglio della strada e si osserva qualcosa che noi esseri umani non abbiamo contribuito a creare, di cui siamo solo fruitori e a cui diamo il nostro contributo solo come “esterni”. Ed è vero che siamo esterni e che il paesaggio vive di vita propria, ma, come diceva il matematico polacco Jacob Bronowski, tra i tratti che differenziano l’uomo dagli altri animali ce n’è uno che spicca in particolare, al quale pensiamo di rado: nel paesaggio, l’uomo non c’è mai, non ne fa mai parte, per la semplice ragione che è lui che gli dà forma osservandolo. Del resto, la parola stessa paesaggio deriva da paese, più il suffisso –aggio che definisce un “sostantivo d’azione” che presume la presenza di un soggetto senziente e consapevole, ma estraneo: il paese viene “attivato” da colui che lo guarda, che lo ritaglia con gli occhi, scegliendolo tra altri mille. Così diventa paesaggio.

E la formazione del paesaggio funziona un po’ come la formazione della memoria: impiega processi di selezione, spesso inconsci, che a loro volta comportano una distanza spaziotemporale da parte del soggetto. E del paesaggio noi cogliamo soprattutto le impronte lasciate dagli uomini, le tracce del passato di cui è in gran parte costituito. Ben più difficile invece è dire quale sia il rapporto tra paesaggio e futuro. Certo, se si smettesse di considerare il futuro come il terzo elemento delle catena “passato→presente→futuro”, inevitabilmente lineare, e ad esso si restituisse il suo statuto “modale” non considerandolo più solo un “tempo”, si potrebbe ricominciare a pensare che sia possibile attivarsi per creare e poi scegliere tra tanti scenari a venire, tra tanti mondi possibili: il futuro, così, cesserebbe di essere qualcosa di ineluttabile, un “destino” a cui gli individui non possono sottrarsi o, peggio, una “fede” a cui ci si raccomanda perché non si ha il coraggio di muoversi. Agire criticamente, laicamente e intenzionalmente sul futuro, concepito in senso modale e non temporale, significa allora riprendersi il controllo del pianeta Terra, ma anche dell’economia, dei modelli di sviluppo, della politica, della lingua che parliamo, dei mezzi di informazione; e significa anche formare individui consapevoli del fatto che, appunto, il paesaggio non esiste se non siamo noi a costruirlo.

Buona lettura a tutti,
la Redazione