Il paesaggio che noi siamo

Intervista a Ugo Morelli, in occasione della pubblicazione del libro Mente e paesaggio. Una teoria della vivibilità, Bollati Boringhieri, Torino 2011
di Gino Dato, La Gazzetta del Mezzogiorno.
Archivio Sezione Hic et Nunc

Come possiamo definire il paesaggio oggi?
Il paesaggio, da sfondo, contorno e “cartolina”, tende oggi a divenire lo spazio di vita, la condizione della nostra vivibilità nei luoghi e sul pianeta Terra in generale. Ognuno di noi ha un paesaggio nella mente e nel cuore. Possiamo perciò dire che il paesaggio si colloca al punto d’incontro tra il nostro mondo interno, quello delle emozioni e degli affetti, e il mondo esterno. Ce ne rendiamo conto oggi che il nostro rapporto con l’ambiente è in crisi e i rischi di vivibilità sono alti. Siamo giunti ad avere un’idea del paesaggio attraverso la letteratura e le arti visive. Si pensi a Petrarca e a Cima da Conegliano. Per noi esseri umani non è scontato accorgerci del mondo in cui nasciamo e viviamo fin dalle nostre origini. Tendiamo a darlo per scontato. A volte addirittura abbiamo un atteggiamento di disprezzo per il passato e la memoria. In un libro significativo come Le pietre di Pantalica, Vincenzo Consolo, ad esempio, mostra con la narrazione il rapporto di vergogna e conseguente sfregio che nelle campagne siciliane c’era e ancora c’è per le tracce storiche e i reperti archeologici.

Lei scrive: “Quel che oggi ci serve è una rifigurazione mentale, individuale e collettiva, del paesaggio come spazio per vivere…”. Che cosa vuol dire?
Fino a oggi la vivibilità per noi esseri umani sulla Terra è stata una conquista per molti aspetti contro la natura. Sopravvivere non è stato facile. Basti pensare alla moralità infantile, ancora oggi un flagello nei paesi impoveriti. O alle aggressioni delle altre specie. Oggi la specie umana domina la Terra e spesso distrugge l’ambiente e le altre specie in molti modi. Scopriamo che la vivibilità cambia di segno: o avremo una vivibilità in alleanza con la natura o non ci sarà una vivibilità per noi. È necessario perciò rifigurare la nostra idea e ridefinire i nostri comportamenti, accorgendoci che non siamo sopra le parti come avevamo creduto, ma parte del tutto. E da quel tutto dipende la nostra stessa vivibilità.

Qual è l’idea di paesaggio e del rapporto tra mente e corpo che noi dobbiamo superare?
Si tratta di due questioni effettivamente intrecciate. Noi abbiamo pensato di avere una mente separata dal corpo e oggi sappiamo che la nostra mente è incarnata, situata nelle relazioni e estesa ai contesti culturali di appartenenza. Tant’è vero che parliamo di mentalità. Il paesaggio non è solo il contorno ma contribuisce a formare la nostra individuazione, così come il corpo non è un accessorio o un attributo ma è ciò che siamo e diveniamo, la base della nostra esperienza.

Qual è il più grave delitto che si commette contro il paesaggio?
L’indifferenza. Allargare le braccia e dire: e che ci posso fare io? Solo l’impegno responsabile e diretto di ognuno di noi, nelle piccole e grandi cose, ci può aiutare ad affrontare le questioni del paesaggio e della vivibilità.

Come può contribuire l’educazione a modificare il nostro approccio con il paesaggio?
È la via principale, sia per i bambini che per gli adulti. Per noi esseri umani cambiare idea e comportamenti è difficile. Spesso vince la forza dell’abitudine. L’educazione può far venire fuori da ognuno di noi la consapevolezza della nuova condizione in cui siamo e creare le condizioni del cambiamento. Ognuno di noi è responsabile della nascita di una nuova cultura della vivibilità.

Democrazia e bellezza sono due beni preziosi che stiamo violando spesso. Il paesaggio può aiutarci a recuperarle?
Studiando le culture del Salento e del materano un grande antropologo come Ernesto De Martino ha detto che solo chi ha un villaggio nel cuore può comprendere il mondo. Se le radici sono intese e vissute come la base per far crescere le foglie e i frutti, per elevare gli alberi fino al cielo, possono essere la condizione per vivere in una civiltà globalizzata e planetaria. Diversamente diventano una zavorra e il localismo si avvita su se stesso e diventa una prigione. La bellezza non è solo la parte esteriore di noi e delle cose. Riguarda la possibilità di vivere abbastanza pienamente noi stessi in un luogo. Riguarda la libertà di esprimersi e di perseguire le opportunità di autorealizzazione. Violando la vivibilità di un luogo si abbassano le possibilità di emancipazione: i bambini non possono giocare per strada e gli adulti non si sentono partecipi delle scelte. La bellezza mobilita le parti migliori di noi e la volgarità fa il contrario.

“Animum sub coelo non mutat” diceva il poeta latino. Il detto è superato?
L’anima, lo spirito, la mente incarnata, vivono perché cambiano continuamente. È perché ci muoviamo che giungiamo al pensiero e la nostra più che un’identità è una “diventità”. Lo sappiamo con evidenza oggi, grazie alle scoperte delle neuroscienze e delle scienze cognitive. Certamente vi sono delle costanti nel nostro essere ma il nostro temperamento è continuamente dinamico e emerge nelle relazioni e nei contesti, in quanto abbiamo un cervello-mente che si mostra neuroplastico e contingente. Anche se con margini contenuti, possiamo perciò cambiare. E in questo sta la nostra possibilità.

.