Sentimento del tempo

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

Il primato dell’azione, dell’agire concreto di fronte al mondo e nel mondo, è ben detto dalla parola “poesia”. Non sembri strana questa affermazione. In greco la parola poesia richiama, infatti, il fare concreto. Può essere salutare pensarci in questo nostro tempo in cui abbiamo bisogno di accorgerci dell’esigenza di cambiare concretamente le nostre linee d’azione, il nostro agire effettivo nelle realtà in cui viviamo. Si tratta di uscire dallo stile purtroppo molto diffuso, in base al quale non conterebbero i fatti ma il modo di raccontarli. Quando Fernando Pessoa scriveva: “Il poeta è un fingitore. finge così completamente che arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente”, segnava una differenza decisiva. Quella tra il finto e il vero sentire. Noi siamo giunti, anche nelle piccole comunità locali, a fingere che è dolore il dolore che non sentiamo. Esprimiamo la cosiddetta “solidarietà” ai lavoratori precari, agli immigrati e agli studenti che non hanno senso del futuro; ci mostriamo ambientalisti per dichiarazione ideologica e per partito preso; siamo disposti a fare altisonanti dichiarazioni di principio, ma tradurle in comportamenti concreti, in azioni reali nella nostra vita è difficile e se possiamo evitiamo di farlo. Arriviamo a qualche scelta spesso solo per costrizione. Individuare idee e azioni che non riteniamo più accettabili e che non dobbiamo più accettare è, invece, oggi, fondamentale. In questo la verifica della finzione che pratichiamo prima di tutto con noi stessi è un punto di partenza indispensabile. Come decisivo è cercare di riportare le parole ai fatti, senza pretese di verità, ma con il cuore aperto al confronto, attento a sentire il mondo, cercando di scostare le tende della finzione. “Il vero peccato del mondo è l’ingiustizia, dal quale gli altri peccati discendono”, dice Carlo Maria Martini. Se qualcosa sta cambiando nelle nostre vite, se ci accorgiamo che ci sono molte cose che non vanno nel modo di pensarci e di pensare il mondo, ebbene, dovremmo cercare di fare sul serio e pensarci in modo nuovo. Se almeno siamo disposti a interrogarci su tali questioni, possiamo accorgerci che la poesia è concreta; che è, come ha detto Flaubert, una spietata scienza esatta. Un altro grande uomo del novecento che ci ha lasciato in questi giorni, Vaclav Havel, ha scritto: "Credo che bisogna imparare ad aspettare così come si impara a creare [...].Non si può ingannare una pianta come non si può ingannare la Storia – ma si può annaffiarla. Pazientemente, tutti i giorni. Con comprensione, con umiltà e anche con amore. [...]. Non c'è nessuna ragione per essere impazienti se si è seminato e annaffiato bene. Basta comprendere che la nostra attesa non è priva di senso. E' un'attesa che ha senso perché nasce dalla speranza e non dalla disperazione, dalla fede e non dalla sfiducia, dall'umiltà davanti ai tempi e non dalla paura”. Sarebbe perciò importante dismettere la finzione della crescita come unica misura dello sviluppo; sarebbe decisivo riconoscere, nei nostri luoghi, che la terra e l’agricoltura esigono un modello appropriato e la fine del modello agro-industriale; che il turismo dolce fatto di ambiente, benessere e qualità della vita è il futuro, anche per tutelare il paesaggio, nostra principale risorsa; che dobbiamo tutti crescere in civiltà e conoscenze appropriate alle nuove forme di vita che ci attendono, smettendo di fingere che tutto possa continuare come è stato fino ad ora.