Per una teoria e una prassi anti-utilitariste dell'azione

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

A. Caillé, Critica dell’uomo economico, il melangolo, Genova 2009
S. Latouche, L’invenzione dell’economia, Bollati Boringhieri, Torino 2010

Una parola ha accompagnato e accompagna con pochi dubbi e riflessioni critiche quasi tutti i ragionamenti intorno alle prospettive dell’economia: è la parola sviluppo, quasi sempre associata dalla parola crescita. Anche nel corso della recente e attuale crisi i dell’economia, pur se circolano temi come quello del capitale sociale o quello dell’ ambiente, la parola crescita domina e indica le risorse umane e sociali più come mezzi per lo sviluppo economico che come vie per il progresso umano. Eppure noi oggi, in particolare nell’occidente ricco, sappiamo che ad una maggiore ricchezza non corrisponde affatto una maggiore felicità e un maggiore benessere complessivo.
La parola sviluppo, nonostante domini la scena, merita oggi un’attenta riflessione: è possibile crescere sempre più e senza limiti? E lo sviluppo può essere, come si dice con un’espressione un po’ alla moda, “sostenibile”? Pare che anche i più strenui sostenitori della crescita ad oltranza nutrano oggi dei dubbi in proposito e che si debba cambiare sembra condiviso da tutti. Il termine “decrescita”, che può essere oggi solo sussurrato con cautela, è un’ importante provocazione su cui si comincia seriamente a lavorare a molti livelli, inventando anche gli strumenti per ragionare e ridefinire l’ordine delle questioni e delle priorità. Un indicatore che da qualche anno è stato messo a punto, anche con il contributo dei più importanti organismi internazionali, è quello di “impronta umana”. Misura quanto consuma un essere umano sul pianeta a seconda della società e dell’economia a cui appartiene. Come è facilmente prevedibile un americano o un europeo non solo consumano un numero smisurato di volte in più di un malgascio o di altri popoli impoveriti, ma consumano come se avessero a disposizione otto o nove pianeti “Terra”. Lo stesso vale per il calcolo delle emissioni di carbonio che distruggono l’ozono. Un bilancio che stabilisca i limiti di emissione è pronto e richiede applicazione. Accordi ambientali a livello locale e non solo prediche ideologiche ambientalistiche dovrebbero partire dal coraggio di assumere la decrescita come obiettivo necessario, richiesto e preferibile.

Serge Latouche, fautore di una critica radicale alla società centrata sull’immaginario e la pratica dello sviluppo illimitato, definisce la decrescita una scommessa e al contempo una provocazione, a cui devono seguire azioni e scelte. In “Come sopravvivere allo sviluppo (1)”, Latouche si misura con le problematiche della messa in discussione dell’ordine mentale ed economico che da secoli governa il mondo e lo sviluppo e che, lungi dall’essere riconosciuto come una delle forme possibili, si è imposto come l’unica forma. In questo testo l’autore riconosce la complessità del cambiare idea e prassi rispetto ad un universo simbolico e pratico così fortemente strutturato. Rivedere nel profondo i nostri costumi e i nostri modi d’uso delle risorse sarà molto difficile e, soprattutto, il tempo a disposizione è scarso. Per Latouche se il mondo si può ”reincantare” su categorie inedite capaci di emergere dalla decolonizzazione dell’immaginario dominante, ciò sarà dovuto non solo alla provocatoria categoria della decrescita, ma anche alla messa a punto di azioni concrete, riguardanti i guasti della forma di sviluppo dominante e la ricerca di possibili alternative. Una via simile la intraprende Monbiot con il suo Calore (2). L’autore, che è vincitore del premio Global 500 dell’ONU per il suo impegno in favore dell’ambiente, lavora sulla categoria di “calotta” che viene individuata come misura della nostra quota pro capite di emissione di carbonio. L’aspetto più rilevante del contributo consiste nel definire bilanci concreti e accordi ambientali come strumenti di intervento per stabilire azioni volte ad affrontare i limiti dello sviluppo. Monbiot si avvale di report scientifici di diversa provenienza, mettendoli in dialogo tra loro, in modo da creare un bilancio chiaro della situazione attuale. Dopodichè si cimenta in una serie di analisi per individuare soluzioni concrete che vanno dai modi dell’abitare, ai modi del viaggiare, del consumare, ricondotti al suo metro di misura, la “calotta”, utilizzato sia per stabilire bilanci che per individuare vie d’uscita. L’autore ritiene, infine, che non sia impossibile stabilizzare l’effetto serra entro il 2030. A patto che si mettano in pratica soluzioni che comportino un impegno diffuso e capillare, dalle istituzioni agli individui.
Le trasformazioni necessarie auspicate e richieste da Latouche e da Monbiot, sono di tale portata che è difficile immaginare che si possano realizzare senza un adeguato impegno per la gestione dei conflitti che quelle trasformazioni comportano. La sola analisi dell’impronta ecologica e le azioni richieste per una sua pratica applicativa, sono motivo di conflitti attesi su ampia e piccola scala. Prepararsi ad affrontarli è forse condizione indispensabile per ogni cambiamento. Ciò è possibile facendo convivere, nell’immaginario e nell’esperienza pratica, la nostra appartenenza locale con una coscienza planetaria. Ernesto De Martino, il celebre antropologo, ha detto che solo chi ha un villaggio nel cuore ha la possibilità di misurarsi ed esprimere col mondo. Quel villaggio può divenire anche una gabbia, ma se riesce a trasformarsi in una base sicura, può generare esperienze emancipative di particolare rilevanza. A concorrere all’analisi dei problemi di vivibilità del pianeta da parte della nostra specie che, con la propria azione ne pregiudica l’equilibrio, vi sono due ulteriori contributi che opportunamente mettono in discussione il ruolo delle discipline economiche e la loro funzione nella creazione di ideologie fautrici di uno sviluppo senza limiti. Il primo libro è dovuto ad Alain Caillé, che con Latouche è fondatore e animatore del MAUSS (Mouvement anti-utilitariste dans les sciences sociales).  Il problema fondamentale che si frappone alla possibilità di evoluzione efficace della democrazia, via privilegiata per cercare di governare il cambiamento verso la vivibilità, secondo Caillé, è che si continua a pensare l’azione sociale in modo utilitaristico o nei termini di un modello economico generalizzato. Una società civile associazionista può nascere solo dal riconoscimento che la nostra natura e la nostra cultura di esseri umani sono la stessa cosa e che la nostra propensione solidale e cooperativa è almeno altrettanto importante nella nostra indole e nella nostra esperienza di quella che ci porta a propendere per perseguire i nostri interessi. Possiamo realizzare insieme il bene comune se investiamo in quella direzione senza delegare e abbandonare quella possibilità. Il libro di Caillé si propone quindi una rottura che è allo stesso tempo epistemologica e politica con l’deologia dell’homo oeconomicus generalizzato.  Empatia, desiderio di riconoscimento e dono come matrice ed operatore politico, sono alcune delle categorie  fondanti dell’analisi di Caillé. L’empatia è riconosciuta come  nucleo portante della moralità umana. Siamo di fronte ad una funzione regolatrice fondamentale delle relazioni umane e consente di riconoscersi e condividere  senso e significato dell’esperienza mentre genera la stessa individuazione umana. L’empatia regola i rapporti sociali e si tratta di comprendere come mai l’intero impianto della teoria economica liberista abbia potuto sostenere che  il perseguimento dell’interesse egoistico è un tratto naturale degli esseri umani. Certo l’empatia può essere indirizzata alla esclusiva comprensione delle modalità per influenzare e incentivare i consumi, ma essa  è allo stesso tempo la principale regolatrice di processi di fiducia e di reciprocità.  Il desiderio di riconoscimento è alla base dell’interpellanza dell’altro e dell’azione umana, di per sé generativa e imprevedibile. L’altro, quindi, non è solo l’egoista accecato dal proprio interesse ma anche chi vive e si riconosce in quanto è dagli altri riconosciuto. Il dono è una costante  delle relazioni sociali  e il libro di Caillé ne mette in evidenza la pervasività in ogni ambito: una delle disconferme più evidenti della concezione dell’uomo economico. A partire dalle stesse premesse epistemologiche  Serge Latouche ha scritto anni fa un libro che ora viene tradotto anche in italiano, L’invenzione dell’economia. Si tratta di un saggio di interrogazione radicale sul terreno di una delle “invenzioni” cruciali della modernità.  Latouche si interroga sui processi con cui abbiamo creato la nostra visione economica del mondo. La nostra visione utilitaristica e quantitativa del mondo si plasma nel corso del tempo. La società si costruisce a partire da significazioni immaginarie. In particolare Latouche cerca le premesse che hanno portato a ritenere verità indiscutibili  l’assurdità della logica della crescita infinita e l’ideologia lavorista.  “Anche un bambino di cinque anni”, scrive Latouche, “può capire facilmente che una crescita infinita è incompatibile con un pianeta finito”.  Il libro di Latouche è denso di risultati teorici e implicazioni evolutive sulle modalità più opportune  per organizzare la produzione e utilizzare in modo ragionevole le risorse  del proprio ambiente nella società della decrescita.  Latouche richiama in proposito Ivan Illich  e la ricerca per la costruzione di una sussistenza moderna.

(1) S. Latouche (2005), Come sopravvivere allo sviluppo, Bollati Boringhieri, Torino.

(2) G. Monbiot, (2007), Calore, Longanesi, Milano.