Noi maschi, le donne e il futuro

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc


Capita spesso di discutere con le donne che vivono e lavorano nelle imprese e nelle istituzioni. Qualcuna di quelle considerazioni può essere utile per riflettere su quanto accade ancora una volta in questi giorni parlando di donne, a proposito della Commissione per le pari opportunità. Sarebbe bene iniziare col dire che non esiste un problema femminile, ma uno storico e grave problema maschile. Un problema che ogni essere umano di sesso maschile sembra replicare rinnovando un’ingiustizia sociale e culturale e l’emarginazione femminile nel tempo. Perché il problema è maschile? Perché il codice paterno, quel modo di essere, di pensare e di agire di noi maschi è alla base del nostro modo di vivere, considerare le risorse, l’ambiente, la natura, l’economia e le relazioni. Ad ogni evidenza si tratta di un modo di essere e di fare che genera una civiltà i cui effetti sono sempre meno desiderabili. Il problema deriva dalla propensione del codice maschile a mettere al centro l’uso strumentale delle cose, il dominio nelle relazioni e l’assenza del senso del limite. Non che ai maschi non possa appartenere la cura, l’attenzione al senso della misura, l’ascolto, la vulnerabilità e l’accoglienza. Solo che per far proprio questi ultimi aspetti, che appartengono anche a noi, nelle espressioni quotidiane della vita, noi uomini abbiamo una sola possibilità: riconoscere la presenza delle donne e dismettere le strategie per escluderle. Solo in questo modo potremo riconoscere la parte femminile che è in ognuno di noi e ricordarci e valorizzare finalmente il fatto di essere tutti figli di una madre, donna, che ci ha generato e allevato. Per ora ci rimettiamo almeno la metà delle possibilità che tutti noi avremmo. Non solo. Non riusciamo a cambiare rotta riguardo al nostro modello di sviluppo, mentre siamo ampiamente consapevoli che quello attuale non solo fallisce sotto i nostri occhi ma non ha possibilità di essere perpetuato nella forma attuale. Ci perdiamo in scaramucce e piccoli tatticismi, ma in realtà stiamo negando allo stesso tempo le donne e la nostra parte femminile, forse l’unica fonte da cui poter trarre orientamenti e pratiche per un futuro possibile. La cosa che più di tutte colpisce è la persistenza di un retaggio storico di particolare ingiustizia nel tempo in cui i diritti umani fondamentali si sono ampiamente affermati, perlomeno nei nostri paesi e nelle nostre culture. La violenza verbale, il fastidio a sentire ancora parlare di una “questione femminile”, la negazione dell’ingiustizia palese, la forte disparità di opportunità contro ogni evidenza riguardo alle capacità, passano come se fossero normali: questo testimoniano le donne che parlano della propria esperienza di vita. Mentre ci perdiamo in negazioni e tattiche dozzinali non ci accorgiamo, ad esempio, che perfino le donne che riescono a vivere percorsi di autorealizzazione, spesso ce la fanno solo perché imitano i codici maschili e i nostri modi di fare. Questa società al cinquanta per cento, che esclude le donne e le parti femminili di ognuno di noi maschi, è una società al limite e mostra di non accorgersene. Oltre alle polemiche sulle commissioni sembra importante confrontarsi concretamente nelle nostre situazioni di vita e lavoro, qui e ora, per cambiare finalmente le cose.