Immaginazione costituente, creatività, conflitto e consenso

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

Dialogo con l’ultimo libro di Luca Mori, Il consenso. Indagine critica sul concetto e sulle pratiche, Edizioni ETS, Pisa 2009, e con il libro di Nicola Gratteri con Antonio Nicaso, La malapianta, Mondadori, Milano 2010.



[Pietro Masturzo, World Press Photo, primo premio 2010. Donne iraniane a Teheran urlano nella notte il proprio dissenso da una terrazza].


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. Senso-con-altri
Studiando la creatività umana si incontrano le rovine del senso. Ogni atto creativo è di per se stesso una destabilizzazione del senso vigente o dominante. Uno dei principali ostacoli all’emergere dell’inedito, di quello che prima non c’era, è il “senso-con-altri”, il senso condiviso e incorporato. In una particolare versione, di cui il con-senso è, forse, l’anticamera, il conformismo, tende a generarsi una saturazione che vincola la creatività fino a tendere a neutralizzarla o, per lo meno, a renderla particolarmente difficile. Eppure quel “senso-con-altri” noi lo cerchiamo, ad esso tendiamo in primo luogo a livello pre-intenzionale e pre-linguistico, come veniamo scoprendo mentre riconosciamo la relazione come fondativa della soggettività. Tendiamo poi a quel “senso-con-altri” nella nostra individuazione all’interno della struttura connettiva del legame sociale, dove dalla condizione di neonati in avanti cerchiamo il significato di noi stessi e lo troviamo, quando lo troviamo, per riconoscimento. Animali relazionali e sociali ci creiamo dentro semiosi fitte e spesso sature, dove il “mos” ha consolidato valori morali e gli spazi dell’unicità, seppur ineluttabili, sono minimi e difficili da conquistare. Il vincolo del legame sociale, mentre è l’utero di ogni possibilità di individuazione, della stessa possibilità di parlare dal posto in cui si è, tende a generare domini di senso densi e persistenti. Quanta parte di senso deliberato riuscirà ognuno di noi ad affermare nel tacito “senso-con-altri” che ci avvolge e coinvolge, è la questione che riguarda il gioco tra individualità e gruppalità, nonché lo spazio della creatività, del conflitto e della democrazia. Se si approfondisce la propensione prevalente al conformismo e alla consuetudine delle menti umane individuali e collettive, ne emerge una considerazione che induce a chiedersi: quanta provvisorietà è possibile generare nel dominio di “senso-con-altri”: quanta flessibilità riusciamo a concederci, pur all’interno della necessaria condivisione per decidere; ma soprattutto a porci l’inquietante questione: come mai le incipienti forme di disaccordo e le differenze di posizione non si traducono in espressioni esplicite e in rivolta, nella maggior parte dei casi? Perché l’immaginazione non diviene azione? E ancora: quali vincoli pone il “senso-con-altri” all’immaginazione? Quando prevale un vincolo che produce conformismo e quando il vincolo attiva possibilità di accedere al conflitto e di esprimerlo? La principale ambiguità del consenso si ravvisa forse nel fatto che, mentre esso è una delle principali ragioni di forza di ogni forma di governo, è allo stesso tempo uno dei principali rischi per la fragilità della democrazia.

2. Passione e politica
La passione per la radicalità del ragionamento politico è stata recentemente richiamata da Carlo Galli e rappresenta, in fondo il filo conduttore dell’importante e originale contributo di Luca Mori sul consenso. Quello di Mori è un gesto teorico documentato che mostra la capacità di ricondurre la fenomenologia della politica alle sue origini. La condizione politica originaria riguarda la ricerca dei modi per dare forma la mondo e, prima ancora, l’accesso a quella ricerca. Riguarda l’accorgersi dell’importanza di farlo, richiesta dalla naturale propensione a crearsi un mondo creando se stessi, come tratto distintivo dell’evoluzione della specie umana. La politica come energia che opera nel disordine non può essere ridotta al consenso e alla ragione. Per questo appare oltremodo importante interrogarsi sul ruolo e i limiti del consenso. Da molti punti di vista, anche teoricamente rilevanti, il ruolo delle passioni è stato solitamente assorbito nel calcolo della ragione, fino ad essere trasformate in “passioni calcolanti, interpretabili perciò all’interno di una geometria delle passioni”, come scrive Mori a pagina 40 del suo libro. La stessa sorte è toccata al conflitto e alla sua percezione e fenomenologia. Non per niente quando si parla del conflitto in politica lo si assimila alla guerra e si tratta la sua funzione in vista di una soluzione e non di una evoluzione verso altri conflitti, ritenendo finalmente il conflitto come l’essenza della politica. Seguendo l’analisi di Luca Mori, chi ha rotto questa linea di pensiero è stato Giovan Battista Vico. Vedendo all’origine della società la fantasia e l’immaginazione connesse alla memoria, all’ingegno e al senso comune, Vico riconosce l’origine della politica nello sforzo e nella capacità di immaginare, da parte di quelle menti che fino ad un certo punto se ne stavano “tutte immerse né sensi, tutte rintuzzate dalle passioni, tutte seppellite né corpi”. Come Mori argomenta, sia in Vico che in Spinoza si dà molto spazio al desiderio e al conatus, ma mentre in Spinoza quei fattori divengono importanti nel diritto morale e politico attraverso l’istituzione di un patto, in Vico il ruolo decisivo non lo svolge la ragione calcolante ma il senso e il senso comune. Sarà la convivenza dei sensi comuni di popoli e gruppi diversi a essere compresa dalla fantasia e dall’immaginazione, dando vita alle forme della politica. Il senso comune, come è noto, genera cornici all’interno delle quali vigono codici di interpretazione del mondo difficilmente modificabili. Ricorrendo a Gregory Bateson, Mori si pone il problema decisivo della capacità di uscita da cornici più o meno inconsapevolmente condivise. In questo modo l’autore pone quello che forse è il principale problema del consenso. Non si tratta soltanto di porsi la preoccupazione di Euripide a proposito della tirannia: “Nulla v’è per una città più nemico che un tiranno, quando non vi siano anzitutto leggi generali, e un uomo solo ha il potere, facendo la legge egli stesso a se stesso”; si tratta di domandarsi come mai quell’uomo solo può giungere a creare una cornice nella quale ottiene un consenso così ampio da concedergli un potere esteso e persistente.

3. Politica e creazione di ordini provvisori
Il pensiero politico moderno trova la sua principale originalità nel fatto che non fa più ricorso ad un’idea di ordine dato, di determinazione a priori del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. L’indeterminatezza trova cittadinanza nei modi di pensare la politica. Il “patto”, il “contratto” e l’“intesa”, sono stati individuati come i modi per far fronte all’incertezza e all’indeterminatezza. Meno attenzione si è prestata e si presta ai meccanismi e ai processi che stanno alla base del consenso. L’immaginazione costituente individuale deve fare i conti con il legame sociale e con le relazioni di legittimazione e condivisione per divenire capace di incidere in una realtà e su un problema. Lo spazio d’azione è dato, appunto, dall’incertezza. È l’indeterminato che apre al gioco tra conflitto e consenso. Nelle società contemporanee quel gioco è giocato soprattutto dalla comunicazione e dall’organizzazione degli interessi. Il restringimento e l’appiattimento degli spazi di gioco è l’effetto dei nuovi mezzi di comunicazione, oppure essi favoriscono un’intensificazione delle possibilità di scambi prima inimmaginabile? Gli ordini sociali sono provvisori e percepiti come tali, ma allo stesso tempo godono di consensi che in epoche diverse da queste era impossibile persino concepire. La temperatura complessiva è salita e con essa i rischi dovuti ai limiti della mente relazionale umana. Gli aspetti cognitivi della politica richiedono sempre maggiore attenzione per essere compresi. Il primo passo è quello di riconoscere che la ragione umana non è solo conscia, logica, universale e letterale, basata sull’interesse e spassionata. Come ci ricorda George Lakoff, di cui Mori si occupa nel libro, noi pensiamo inconsciamente in termini di frames, di associazioni e di metafore. La costitutiva incompletezza della politica e i progetti di evoluzione incompiuti della civiltà e della democrazia esigono certamente accordi e consenso, ma necessitano allo stesso tempo di attenzione agli aspetti critici che possono vincolare l’immaginazione dell’inedito e la ricerca della libertà nell’espressione e nel gioco delle menti individuali e collettive.       

4. Mentalità, illegalità e crisi dei diritti essenziali
“La democrazia vive di buone leggi e di buoni costumi”, sosteneva Norberto Bobbio. A mettere in crisi la democrazia può essere l’intreccio tra l’illegalità diffusa, la mentalità e la crisi dei diritti fondamentali. “Una holding del crimine che vive protetta, quasi rinserrata, nei legami di sangue, ma che è riuscita anche a cogliere in anticipo su governi e grandi corporation  multinazionali il trend della globalizzazione”. Questa è la ‘ndangheta calabrese secondo uno dei suoi principali persecutori, Nicola Gratteri, il magistrato che insieme ad altri è esposto da anni nella lotta alla mafia. Tra le molte angolature con cui si può leggere La malapianta, il libro che riporta una lunga e chiara conversazione di Gratteri con lo storico Antoni Nicaso, privilegeremo qui quella psico-antropologica e cercheremo di comprendere, grazie all’analisi rigorosa degli autori, come si genera e conferma il consenso alle organizzazioni criminali. Il malcostume diffuso e il consenso di cui gode, o perlomeno l’assenza di dissenso, sono l’humus che alimenta e conferma nel tempo l’illegalità fino a compromettere e a mettere a rischio i diritti fondamentali. “I reality show hanno rimbambito le coscienze”, dice Gratteri, “la televisione ha omologato i gusti e le aspettative. Molti sognano il ‘Grande Fratello’, tutti sognano la bella vita”.

5. Assenza di distanza/eccesso di distanza/giusta distanza
“La cultura è l’unica arma di riscatto”. L’assunzione di responsabilità riguardo ai costumi e ai comportamenti diretti da parte di ognuno non può essere sostituita da nessuna legge. L’accesso al conflitto intrapsichico per mettersi in discussione e mettere in discussione il consenso tacito alle forme di dominio più aberranti e diffuse non può essere sostituito da nessuna delega. Stefania Pellegrini nella prefazione al libro di Gratteri ricorda Carlo Alberto dalla Chiesa quando, nel primo intervento pubblico tenuto a Palermo in quel fatale 1982, sostenne che il “potere” come sostantivo è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi. Ma che “potere” può essere anche un verbo: potere reagire, potere denunciare, potere costruire insieme una nuova coscienza civile anche a partire dalla conoscenza di ciò che ci opprime. Il fatto è che il consenso può diventare religione. Assenza di distacco e distanzadeliberata e programmata. Continua nella conversazione Nicola Gratteri: “E’ pura illusione pensare i recuperare i mafiosi, convincendoli a cambiare vita. Nella ‘ndrangheta, come in Cosa Nostra, si esce e si entra col sangue. Non ci sono altre vie d’uscita. Lo diceva anche Giovanni Falcone: scegliere di far parte della mafia equivale a convertirsi ad una religione”. Siccome la ‘ndrangheta è un’organizzazione che ha sempre fatto delle relazioni sociali e politiche un proprio punto di forza, cosa accade quando una diffusa forma di consenso diventa religione diffusa? E quando viene creato il disordine per potersi ergere a garanti dell’ordine, cioè si crea paura per poter giustificare controllo e dominio? Si creano le condizioni per un humus che alimenta il consenso sociale e rende ancora più forte il potere esistente. Il radicamento sociale di ogni forma di organizzazione è la ragione della sua forza. Si costruisce così giorno per giorno, con il consenso ampio e diffuso, una delle minacce principali per tutto il paese. Il conflitto, che in questa prospettiva si configura come il contrario del consenso, è una via per la discontinuità. È necessaria però una cultura del conflitto per accedere alla sua gestione ed evoluzione. L’immaginazione e la creatività necessarie per emergere dalla palude degradante esigono investimenti in discontinuità e sono l’antidoto educativo necessario per emergere dagli effetti perversi del consenso. L’urlo delle donne iraniane contro la lugubre notte di Teheran, così esteticamente ripreso da Pietro Masturzo, è un segno del possibile e ci interpella mentre interpella la nostra responsabilità a dimettere l’eccesso di distanza e l’assenza di distanza per praticare la giusta distanza.