Chi è attento al lavoro
Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

Il lavoro ha ricevuto in questi giorni un’attenzione istituzionale tanto inattesa quanto straordinaria. La presidente della Camera Laura Boldrini ha rifiutato un invito per una visita a una fabbrica Fiat «causa impegni istituzionali già in agenda», approfittando della missiva di risposta per esprimere la propria posizione su lavoro, sviluppo del Paese e civiltà. In quella risposta la presidente dice quello che finora ben pochi politici hanno avuto il coraggio di affermare: «Affinché il nostro Paese possa tornare competitivo è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell’innovazione. Una via che non è in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa». È bene considerare che le affermazioni di Laura Boldrini sono strettamente in linea con la nostra Costituzione. Che ci suonino particolarmente eccezionali ci aiuta solo a comprendere quanto siamo assuefatti a sentir parlare altri linguaggi e quanto siamo caduti in basso in termini di diritti e di lavoro. Anche nei linguaggi dell’imprenditoria locale il lavoro o non appare o appare come costo. Stentiamo a capire che avremo una società più giusta, una nuova stagione di sviluppo e una ripresa dei consumi solo se il lavoro e i diritti non saranno considerati al ribasso. Non solo la voce della presidente della Camera ci appare portatrice di un segno di civiltà, ma importanti sono anche i silenzi e i commenti che ha suscitato. A fronte di reazioni scontate da parte dei soliti detrattori di ogni forma di diritti, o da parte di chi non tollera Laura Boldrini perché si è ostinata e si ostina a pensare che gli immigrati sono persone, il silenzio o le considerazioni critiche di forze politiche che sul lavoro e i diritti hanno costruito la propria storia fanno un certo rumore. Ciò evidenzia quanto l’ideologia iperliberista si sia affermata, al di là dei confini delle forze che l’hanno promossa e praticata. È come se si fosse prodotta una scissione tra ciò che si continua a dire con le parole e una certa posizione politicamente corretta che non riesce a mettere al centro il lavoro e i diritti. Non si capisce come si possa inventare e pensare nuove forme di economia senza partire dal lavoro, dalle conoscenze e da una civiltà dei rapporti lavorativi, degni di tali nomi. Le strade intraprese sino ad ora mostrano tutti i loro fallimenti. Portano a crolli della produzione, alla chiusura delle imprese e alla caduta dei consumi. Come è evidente anche da noi in questi mesi. Non è pensabile un modello di sviluppo appropriato alle nostre realtà se non coniugato con la valorizzazione del lavoro, con la tutela dei diritti di rappresentanza, di parola e di partecipazione dei lavoratori. Né è pensabile una via per affrontare il problema principale, che è il lavoro dei giovani, senza mettere mano a una nuova fase di umanesimo e civiltà del lavoro.