La selva delle somiglianze e l'arte senza tempo. Antonello Da Messina e L'altro ritratto al Mart di Rovereto

Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

“La traduzione non è un’opera ma un cammino verso l’opera”, ha scritto Josè Ortega y Gasset. I ritratti non sono le persone rappresentate ma un cammino verso esse. Del ritratto, a cui il Mart dedica un’originalissima e importante mostra dal 5 ottobre 2013 al 12 gennaio 2014, Antonello da Messina – L’altro ritratto, si può dire che mette al centro della figurazione non tanto il corpo ma una forma di avvicinamento al corpo; che cerca di cogliere l’umano del vivente, come accade del resto con la parola. Alla combinazione tra corpo e parola, infatti, il curatore de L’altro ritratto, il grande filosofo francese Jean-Luc Nancy, ha dedicato buona parte della propria ricerca. Qualche anno fa in un colloquio a Parma mi parlò con passione del “corpo a corpo con la parola” e del “divenire umani nell’atto di prendere la parola”. Un suo libro pubblicato da Moretti & Vitali in questi giorni si intitola, appunto, Prendere la parola. La definizione di originalità della mostra del Mart non è né retorica né scontata. Si tratta di un’operazione di ricerca capace di sfidare le classiche categorizzazioni tra arte antica, moderna e contemporanea, guardando dietro e oltre il canone, attraversandolo con un’ipotesi che mira a raccogliere le costanti dell’espressione creativa che se non prescindono dal tempo, certamente lo trascendono. C’è da auspicare che il coraggio del Mart trovi attenzione e che piste simili si aprano per conoscere e godere l’arte come possibilità di autoelevazione della nostra specie. Il ponte che la mostra plurale del Mart getta tra l’originalità vertiginosa e anticipatrice di Antonello da Messina e la contemporaneità ruota, quindi, intorno al ritratto. Il ritratto: polisemia di un concetto. I significati possibili ci portano verso il ricavare qualcosa da qualcos’altro; verso l’ottenere un esito, ma anche e allo steso tempo verso la presa di distanza, cioè verso l’esigenza di ritrarsi per comprendere e narrare con i segni il mondo personale del soggetto osservato. A caratterizzare la messa in scena del soggetto attraverso il ritratto, più che la rappresentazione è forse la sua crisi. Questa è un’evidenza che dalla mostra del Mart emerge in modo puntuale e diffuso, sia nelle opere di Antonello che nella vasta comunità degli artisti che compongono L’altro ritratto. La crisi della rappresentazione è evidenza della messa in discussione della corrispondenza e Antonello da Messina è stato capace di anticiparla. Da un lato si colloca l’autonomia irriducibile del soggetto e la sua non rappresentabilità, dall’altro l’accoppiamento che l’osservatore realizza approssimandosi: in questo modo si supera il canone moderno e il dualismo anima e corpo. Se il pensiero occidentale è fondato su un logos devitalizzato e il corpo è visto, fin da Platone, come un ricettacolo di passioni (nel Fedone si legge: “L’anima disprezza più di ogni altra cosa il corpo”), un filo rosso attraversa quello stesso pensiero occidentale e mostra una prorompente sintesi, quella tra il corpo e la sua anima. Lo esprime bene Rainer Maria Rilke questo sentimento del tempo, quando scrive: “Gli occhi, dietro le loro palpebre, si sono rigirati e ora guardano dentro di noi”. Allo stesso tempo Antonello da Messina, con la deviazione dalla norma prospettica, frantuma un intero sistema di pensiero e di concezione del mondo, consegnandosi alla selva delle somiglianze più che alla rigidità delle figure formali. A intuire questa originalità anticipatrice di Antonello è stato un suo conterraneo, nostro contemporaneo, Leonardo Sciascia. “L’ordine bioetnico delle somiglianze”, da cui scatta “l’assoluto fisiognomico”, scrive Sciascia, “sono espressioni di Antonello che immediatamente ci collegano ai suoi personaggi. Anche ai santi. Anche alle Madonne. Il giuoco delle somiglianze è in Sicilia uno scandaglio delicato e sensibilissimo, uno strumento di conoscenza. A chi somiglia il bambino appena nato? A chi il socio, il vicino di casa, il compagno di viaggio? A chi la Madonna che è sull’altare, il Pantocrator di Monreale, il mostro di villa Palagonia? Non c’è ordine senza le somiglianze, non c’è conoscenza, non c’è giudizio. I ritratti di Antonello ‘somigliano’; sono l’idea stessa, l’archè, della somiglianza. A ciascuno si possono adattare tutte le definizioni che sono state date dei siciliani, da Cicerone a Tomasi di Lampedusa: sono chiusi sospettosi sofisti; amano contraddirsi e contraddire, complicare le cose con l’astuzia e risolverle con secco intelletto; sono sensuali avidi violenti, tesi al possesso della donna e della roba, ma in ogni loro pensiero è annidata accettata vagheggiata la morte. A chi somiglia l’ignoto del Museo Mandralisca? Al mafioso della campagna e a quello dei quartieri alti, al deputato che siede sui banchi della destra e a quello che siede sui banchi della sinistra, al contadino e al principe del foro ; somiglia a chi scrive questa nota (ci è stato detto); e certamente somiglia ad Antonello. E provatevi a stabilire la condizione sociale e la particolare umanità del personaggio. Impossibile. È un nobile o un plebeo? Un notare o un contadino? Un uomo onesto o un gaglioffo? Un pittore un poeta un sicario? ‘Somiglia’, ecco tutto”. Difficilmente si può rendere meglio il senso del ritratto, se non attraverso la somiglianza, l’illusione e l’approssimazione che produce. In questo senso la mostra del Mart costituisce un contributo determinante a generare linee interpretative originali dell’arte nel tempo, che poi è un contributo a comprendere la nostra contemporaneità.