Appendici del potere o responsabili di un pensiero libero

Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

Ho letto e riletto l’editoriale di Simone Casalini di qualche giorno fa, “Le appendici del potere”. L’ho fatto per cercare di fare un esame di coscienza, appartenendo alla categoria degli “intellettuali”, di cui l’editoriale si occupa. Ma anche, francamente, per cercare di falsificare quello che Casalini scrive. E invece non posso che confermare il contenuto di quell’analisi. Non solo per la solita precisione e il rigore dell’articolo, ma purtroppo per la verità del suo contenuto. Ricorrendo a un grande pensatore come Michel Foucault, Casalini cerca di distinguere la posizione degli intellettuali che cantano in coro con il potere e le sue diverse manifestazioni fiancheggiandole, e la posizione di chi tiene una “distanza di sicurezza corretta” dal potere, e per questo “può aiutare il libero dispiegarsi delle opinioni con risultati di intensità politica superiori rispetto a quelli prodotti dall’allineamento”. Difficile porre meglio la questione e invitare a riflettere, soprattutto in questo periodo elettorale. Ebbene l’esame di coscienza induce a domandarmi se, quando ne ho l’occasione o quando scelgo di farlo, intervengo e opero per favorire l’esercizio del dubbio o per amplificare certezze proposte come oggettive da chi detiene il potere. Mi domando anche se quando insegno cerco di educare a mettere in discussione critica il sapere esistente e se presento più punti di vista anche tra loro conflittuali. Favorire la libera espressione delle opinioni e dei punti di vista può non bastare se non si educa all’unicità dei casi con cui ci si confronta, e allo stesso tempo senza perdere di vista i fattori accomunanti. Il riconoscimento e l’estensione delle differenze può essere un’altra pista necessaria da percorrere per chi ha il vantaggio e la responsabilità di svolgere ricerca e di generare conoscenza, agendo per la moltiplicazione dei punti di vista e delle opportunità di comprendere. In particolare abbiamo il dovere di evidenziare che un altro mondo è possibile rispetto a quello esistente. Si tratta perciò, non solo di evitare di essere fiancheggiatori, ma anche di essere organici a chicchessia. In fondo la questione decisiva è partecipare al processo democratico senza adesioni convenienti e senza certezze e verità preconcette. Non è certamente facile ma è necessario. Essere appendici o complici è il contrario dell’impegno e della responsabilità intellettuale e non significa certo scegliere il disimpegno. Anzi. Significa sviluppare un dialogo critico e anche conflittuale con i punti di vista, le posizioni e i pensieri dominanti per aiutare a verificare se per caso non sia vero il contrario, cercando di estendere e aumentare il numero delle posizioni e delle possibilità di comprendere il mondo e agire liberamente. In occasione delle elezioni, aiutare a riflettere sulle posizioni in gioco è decisamente più importante, nonché più elegante, che fiancheggiare qualcuno.