L'umiliazione e l'offesa. A proposito dell'aggressione alla presidentessa della Camera

Di Ugo Morelli.

Hic et Nunc

La precarietà dei ragionamenti sulle pari opportunità e sul riconoscimento dell’uguaglianza tra donne e uomini mostra il suo ventre molle e ideologico, grazie alla funzione evidenziatrice del web. Mai come in questi giorni oscuri e tristi per la civiltà di un intero paese, emerge la maniera e la forma “politicamente corretta” delle cose dette, e non fatte, a proposito della presenza e del potere maschile e femminile nella nostra società. Il web vomita i fondi atavici e ancestrali della paura nei confronti del codice affettivo materno, e lo fa per la via peggiore, quella dell’anonimato e dell’impunità che quella via consente. Anche a causa dello scarto fra quella tecnologia dell’informazione e della comunicazione e le norme di tutela decisamente in ritardo. Stiamo così assistendo ad una prova dello stato effettivo della cultura vigente nei confronti delle donne. E per quanto si faccia la tara ad esagerazioni che sarebbero solo linguistiche, la gravità di ciò che accade è sotto gli occhi di tutti. O meglio, di chi vuole vedere, perché non mancano i minimizzatori di professione. La terza carica dello Stato è oggetto di un’aggressione che non ha precedenti, in quanto non ha precedenti il medium utilizzato e la sua penetrazione. Né conosciamo le conseguenze che ne possono derivare. Quando abbiamo invocato, anche sulle colonne di questo giornale, l’esigenza di abbandonare l’ideologia, molto conveniente e à-la-page, delle prediche senza pratica a favore delle donne, sembrava di andare contro corrente. Ogni volta che abbiamo provato a dire che i comitati, le commissioni e le altre forme di cosiddetta organizzazione, anche sostenute da noi dall’intervento pubblico, erano palliativi, spesso creati per non fare niente di concreto, sembrava di essere bastian contrari. Quando abbiamo visto addirittura l’uso politico della questione creare fortune elettorali a cui non pare corrispondano fatti. Quando, nelle aule di formazione, o nella progettazione di azioni formative, abbiamo insistito a sostenere che non si tratta di riconoscere handicap alle donne, ma di mettere mano a una educazione di fondo sui codici affettivi maschili e femminili, agendo di conseguenza, siamo stati guardati come esseri strani che non ne hanno mai abbastanza. E allora diciamolo ancora una volta: non avremo una società migliore e più giusta quando concederemo a un maggior numero di donne di affermarsi, magari imitando le forme maschili, ma quando uomini e donne matureranno una cultura e dei comportamenti in grado di esprimere la parte femminile e quella maschile di cui ogni essere umano è fatto. Il nostro problema è che i maschi, e spesso anche le donne, negano i codici affettivi femminili e materni che porterebbero a una vita relazionale e pubblica più capace di ascolto, più attenta alle differenze di ogni genere, più accogliente e meno arrogante. Uomini, e anche donne, spesso se ne vergognano della vulnerabilità, della fragilità, della mitezza, come tratti di una vita buona, e creano gruppi, organizzazioni e società che sono sotto gli occhi di tutti, e che in questi giorni olezzanti divengono solo più visibili. Nel micro e nel macro ognuno di noi può fare molto. Questa è una questione in cui i micro motivi possono divenire macro comportamenti e cambiare finalmente le cose.