La razza e la paura

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc


“Quello che riusciamo a vedere dipende pesantemente da quello che la nostra cultura ci ha educato a guardare e a cercare”, scrive Nell Irvin Painter nel suo ultimo libro. Si tratta di un libro su un’illusione: quella dell’idea di razza. Allo stesso tempo l’analisi serrata dell’autrice ci fa capire quanto sia concreta e dura, densa di effetti che possono essere terribili, un’illusione. Le teorie della razza sono terreni scivolosi e ripidi, costruiti nella storia da chi ha avuto e ha tutto l’interesse a mantenere posizioni di dominio. Il loro terreno di coltura ideale è la paura: senza la paura dell’altro, di quello che di volta in volta è l’altro di turno, non prende piede una strategia per dominarlo, dichiarandosi superiori. Lo fecero anche i civilissimi greci di pelle scura verso le popolazioni delle terre più a nord. Proprio la concretezza, a volte materiale e durissima, dell’illusione ci deve far riflettere, oggi. Deve farlo preventivamente. Poiché gli effetti terribili delle illusioni si vedono sempre dopo. Siccome illudersi vuol dire anche giocare a creare mondi che non ci sono, dove tutto è semplice, facile e chiaro, ci vogliono emozioni forti perché il gioco riesca. Nell’età del vuoto e delle passioni tristi non è difficile proporsi come Pifferaio magico. L’emozione forte a disposizione è la paura. Per le società locali dotate di un certo livello di autonomia la paura assume tante forme. Prima di tutto la paura di perdere quell’autonomia. Quella paura può generare l’illusione della chiusura come soluzione. Paura di essere invasi dagli “altri”, su cui giocano le proposte xenofobe, per fortuna e capacità, almeno per ora, senza successo. Paura dell’innovazione, che genera un’enfasi eccessiva e costosa sulla tradizione. Paura della conoscenza e della cultura per autogenerare la propria via, con l’illusione dell’imitazione che appare a prima vista meno costosa. Siccome la nostra mente individuale e collettiva non è fissa ma si adatta plasticamente alla cultura e ai contesti, è cruciale chiedersi a che cosa stiamo abituando a guardare e a cercare, noi stessi e le nuove generazioni. I livelli di questa domanda sono tanti e vanno dal micro al macro. C’è una questione di clima sociale diffuso, fatto di informazione e comunicazione quotidiana. C’è la grande rilevanza dei luoghi e delle istituzioni di mediazione, dove l’azione del volontariato e dello sport possono essere decisive. C’è la scuola con la sua capacità cruciale di aprire le menti al mondo e alle sue differenze. C’è la famiglia e il suo ruolo di generazione delle basi che ognuno ha per leggere il mondo ed abitarlo. Mentre ci diciamo che la razza è stata una terribile illusione, apriamo gli occhi sulle illusioni proposte intorno a noi. Preventivamente, se possibile.