Il volto dell'altro

Di Ugo Morelli.
Hic et Nunc

"Se tu facessi un giro con il mio volto, capiresti tante cose". Così mi ha detto un ragazzo di pelle nera con cui ho parlato nel corso di un seminario sul dialogo tra popoli e culture. Visto da quella prospettiva il pregiudizio e il conflitto di identità e culture si caratterizzano in tutta un'altra prospettiva. Assumere il punto di vista di un altro è un esercizio difficile e allo stesso tempo a portata di mano per noi esseri umani che siamo capaci di consonanza intenzionale. Di cosa si tratta? Di una dotazione evolutiva naturale che ci permette di sentire l'altro, di accedere ai suoi comportamenti e comprendere le sue espressioni. Tutto questo prima delle comunicazioni verbali e prima delle influenze culturali. L'educazione che si innesta nei nostri percorsi di individuazione ci modella e crea orientamenti e preferenze. Si generano in quel modo i nostri codici culturali per leggere il mondo in cui viviamo. Abbiamo ancora tanta strada da fare per favorire l'affermazione di codici plurali capaci di cogliere e riconoscere le differenze. Siamo stretti dentro le maglie della fobia della sicurezza e le differenze inquietano. Mentre è il caso di rispettare e comprendere le ragioni dell'identificazione con modi di sentire e essere che vogliono replicare le forme di vita tradizionali, quello che non è né civile, né sopportabile, oggi, riguarda la negazione delle differenze e della pluralità dei modi di essere e stare al mondo. I costi dell'esclusione sono divenuti insopportabili e la proposta di legge di iniziativa popolare contro le discriminazioni che sarà discussa entro l'estate dal Consiglio Provinciale di Trento rappresenta un'occasione di verifica e di emancipazione per tutti. Nella stessa direzione va la settimana di iniziative in corso di svolgimento in occasione della decima giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia. Affermare il valore delle differenze è forse la condizione principale per creare una civiltà del nostro tempo degna di tale nome. Insieme alla ricerca delle condizioni per la vivibilità, verso un modello di sviluppo appropriato e non distruttivo ma coevolutivo col sistema vivente di cui siamo parte, forse una cultura delle differenze è alla base di una ricchezza sociale e individuale che non possiamo più rinviare. Non riusciremo nell'intento senza attraversare i conflitti che un simile cambiamento comporta. I costi del cambiamento sono già sotto i nostri occhi. Vanno dalle morti dei migranti nel nostro mare di casa, all'omofobia, al bullismo, all'esclusione sistematica, e accettata come normale, delle donne da posizioni rilevanti e di responsabilità nei luoghi di lavoro, alla discriminazione per motivi religiosi o ideali. Viviamo per molti aspetti nel tempo della paura e la chiusura verso il simile e la sicurezza hanno buon gioco. È necessario sapere che si tratta di una scelta antistorica, che ritarda quella che sarà l'inevitabile evoluzione della convivenza, che ostacola il pluralismo ma non ne può interrompere l'affermazione. Certo può comportare e di fatto già comporta elevati costi. Ecco perché le occasioni che vogliono sostenere una civiltà delle differenze assumono un valore decisivo. Possiamo allargare l'area della nostra consonanza intenzionale e vivere come ricchezza le tante facce del mondo che ci circondano, in una civiltà delle differenze. Libere di essere, naturalmente conviventi, le differenze potranno alimentare la ricchezza dei nostri mondi interiori e delle relazioni sociali in cui viviamo noi e, ancor più importante, in cui vivranno i nostri figli.