La freccia del tempo*

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

"Ce ne ricorderemo di questo pianeta", l’epitaffio che Leonardo Sciascia si è fatto incidere sulla propria tomba, e la recente installazione di Stefano Cagol alla Biennale di Venezia, The Ice Monolith: sono queste le immagini che hanno accompagnato i lavori di un seminario in cui si è parlato anche del paesaggio e del territorio in Trentino, al Politecnico di Milano su Progetto di riciclo e infrastrutturazione del territorio. Sia Sciascia che Cagol ci mettono di fronte alla responsabilità della nostra presenza nei luoghi della nostra vita e sul pianeta che ci ospita. Re-Cicle Italy, un progetto nazionale coordinato da Renato Bocchi, sta cercando di reimpostare il senso, il significato e la prassi del rapporto tra uomo e territorio. La soglia a cui siamo arrivati nell’uso del suolo e delle risorse è ampiamente documentata dagli studi sui guasti ambientali. Il punto di svolta consiste nel riconoscere che non possiamo più praticare l’usa e getta, ma dobbiamo usare meno e riusare in modo mirato e appropriato. È qui che entra in campo il tempo. Se ci chiediamo come fa il nostro cervello a collegare in un unico momento tutte le informazioni che ci arrivano, sappiamo oggi che ciò accade attraverso un processo di integrazione e compensazione. Accade cioè che se i segnali sono discordanti o giungono in tempi diversi, essi vengono associati e sincronizzati a livello cerebrale. In sostanza noi creiamo gli “ordini” della realtà e li trasformiamo in dati di fatto. Siamo in grado di riempire i vuoti, come mostrano con evidenza i ricercatori dell’Università di Trento coordinati da David Melcher. Accade come in quel gioco in cui nelle parole scritte sono spostate o tolte alcune lettere, ma leggendo noi comprendiamo lo stesso il significato della frase. Se in un tempo così breve costruiamo un ordine, non è difficile capire cosa accade in tempi più lunghi. Non solo componiamo le cose che ci stanno intorno con la nostra azione cognitiva, ma ci facciamo piacere la realtà che noi stessi abbiamo composto. Tutto questo comporta non pochi vantaggi: reagire in modo non sfasato a fronte di segnali discordanti è un evidente vantaggio nei nostri comportamenti quotidiani. Per quella stessa via però ci abituiamo ai contesti della nostra vita e perdiamo di vista le possibili alternative e la ricerca di esse. Il territorio e i suoi abusi sono un esempio lampante di tutto questo. Gli interventi nel tempo provocano spesso guasti profondi un passo alla volta. Capita poi di vedere fotografato lo stesso luogo a distanza di tempo e di avere un soprassalto. Chi è stato? Ci chiediamo. Siamo stati noi è la risposta. Un ostacolo al riciclo e alla ristrutturazione, è ancora una volta la nostra assuefazione. Accorgersi che non è il tempo il grande scultore, ma il modo delle nostre menti di stare nel tempo, è una condizione per scoprire oggi l’importanza economica, sociale e civile di riciclare e riusare bene i patrimoni dismessi e i luoghi abbandonati o maltrattati.

*Corriere del Trentino, 3 marzo 2015