Noità, singolarità, responsabilità
Intervista con Ugo Morelli, da Uomo, città, territorio, marzo 2015

Hic et Nunc

1) Concorda con Massimo Ammaniti nel ritenere che l'individualismo prevalente nella società attuale abbia influito persino sull'economia favorendo iniziative economiche predatorie?
Se si considerano i risultati più avveduti delle ricerche di neuroscienze cognitive e di psicologia sociale degli ultimi anni, è facile rendersi conto di quale paradosso sia stato concepire un “io” senza un “noi”. Non lo abbiamo fatto solo nella nostra quotidianità, ma le stesse discipline hanno enfatizzato la centralità del soggetto e dell’io. Scopriamo oggi con chiarezza ed evidenza che è la relazione che consente l’individuazione del soggetto e non il soggetto che viene prima della relazione. Accade, usando un esempio, qualcosa di simile a quello che accadde nel passaggio a una visione eliocentrica del sistema solare: prima eravamo convinti che la Terra fosse al centro del sistema e tutto il resto vi girasse intorno. Abbiamo capito poi che al centro vi era il Sole e che noi eravamo parte di quel sistema, definiti in misura determinante e decisiva dalla relazione con il Sole. Noi ci individuiamo nelle relazioni. Essendo noi esseri naturalmente relazionali dobbiamo intendere l’individualismo come un effetto dell’azione culturale e della contingenza epocale. La mente umana non si forma e non è nella testa ma nelle relazioni e nei contesti culturali di appartenenza. Di conseguenza è possibile ipotizzare che sia stata la grande spinta verso l’esasperazione dell’individualità a generare l’individualismo prevalente nella società contemporanea. È difficile stabilire se sia l’individualismo ad influire sull’economia o se sia la dominanza dell’economico e la separazione supposta superiore dell’economia dal resto della società ad incidere sui processi di individuazione. Quello che effettivamente si verifica è forse un processo di circolarità ricorsiva tra contingenza storica e processi di individuazione. In sintesi è però possibile sostenere che, essendo noi umani degli animali sociali, sia il contesto storico-istituzionale a eccitare la propensione individualistica. Ne deriva la grande responsabilità del ruolo della politica nel governare i processi verso una maggiore attenzione alla giustizia sociale e all’uguaglianza, invece che all’esasperazione delle spinte individualistiche. Ritengo pertanto che non si possa considerare l’individualismo come causa prima dell’economia predatoria se prima non si considera come i percorsi di socializzazione che stanno alla base dell’individuazione influenza quest’ultima.

2) Il prevalere dell'individualismo non sarà una conseguenza del fatto che in passato Stato e Religione favorivano la natura gregaria dell'uomo?
Per avallare questa spiegazione dovremmo ammettere che non esiste altra possibilità per noi esseri umani che consegnarci al sacro che ci determina o a un Leviatano che ci controlla. Eppure è possibile constatare come esistano molteplici e diffuse forme di legame sociale che sostengono convivialità, altruismo e autofondazione delle forme di vita umana. Il “noi”, il nostro essere animali relazionali capaci di linguaggio verbale e competenza simbolica, è naturalmente alla base della nostra essenza costitutiva. Dobbiamo perciò, pur dover ammettere, che potremmo fondare, su noi stessi e sulla nostra natura, modalità di autogoverno non dipendenti da forme di sovradeterminazione. L’individualismo, pertanto, pare essere l’esito di una crisi del legame sociale e dell’affermazione dell’indifferenza, che appaiono dipendere dagli orientamenti economici e politici dominanti. Noi esseri umani costruiamo le forme dominanti della nostra socialità mediante le nostre scelte e la cultura. Delle conseguenze di quelle scelte dovremmo essere più responsabili.

3) Come si può convincere l'individuo a convincersi che scambi e relazioni sono indispensabili allo sviluppo dell'uomo?
Parlare per convincere non è efficace se non nel condizionamento per scopi di consenso, che spesso giunge alla manipolazione. Si tratta di educare. Di tirare fuori da noi il meglio di noi attraverso le relazioni educative. Abbiamo a lungo trascurato il fatto che per avere democrazia bisogna educare alla democrazia. Dobbiamo riconoscere, come sostengo nel mio ultimo libro: Il conflitto generativo. La responsabilità del dialogo contro la globalizzazione dell’indifferenza, edito da Città Nuova, Roma, che sono il dialogo, il confronto, il conflitto inteso come l’incontro generativo tra differenze a consegnarci le possibilità di emanciparci e riconoscerci, riconoscendo che da soli non siamo niente e che l’altro è almeno la metà del nostro cielo.