I migranti e noi

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Non è solo questione di ostacoli pratici, ma è soprattutto un problema di percezione. Un’ennesima prova che le posizioni immateriali prodotte dalla nostra mente, spesso sono più dure della materia più dura. La nostra posizione rispetto ai rifugiati e ai migranti andrebbe analizzata in questa prospettiva. Il simbolo dell’ombrello adoperato a Bolzano nella recente giornata mondiale del rifugiato, e le iniziative che si sono svolte in Trentino, mostrano da un lato un tratto di civiltà di una società accogliente, e dall’altro il grande cammino che c’è da fare per giungere a conquistare la libertà delle persone di spostarsi. La cittadinanza, con la crisi degli Stati nazione, tende a diventare un tratto puramente artificiale. Se c’è una sfida etica che il nostro tempo ci pone è quella di vivere il confine come inizio e giungere a fare in modo che il posto in cui si nasce non determini il nostro destino. Allora la percezione del problema è importante. Per quanto riguarda la sicurezza, ad esempio, come emerge anche da una ricerca condotta dall’istituto S. Ignazio su un quartiere di Trento, lo scarto tra i problemi effettivi di sicurezza (pochi) e la percezione di insicurezza (alta), rappresenta la questione che conta. Siamo profondamente legati ai nostri privilegi e alle nostre sicurezze, fino all’avarizia, e questo impedisce di riconoscere l’altro in noi. Don Milani aveva scritto: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. Mentre la politica, soprattutto quella europea arranca o balbetta, quella che è una questione internazionale e globale rischia di diventare un fatto personale e, con tutto l’encomio per le azioni volontarie, in quel modo è difficile pensare di risolverlo. È un imperativo etico affrontare in modo evoluto il dialogo tra le civiltà e praticare il riconoscimento come scelta esistenziale. Riconoscere l’altro è condizione essenziale del proprio riconoscimento, dal momento che da soli il riconoscimento è impossibile. Certamente risulta indispensabile farsi carico delle paure che ogni differenza suscita. Importante è altresì stabilire regole chiare e sviluppare una strategia politica di governo delle migrazioni. Le relazioni umane nella crisi del nostro tempo, soprattutto rispetto alle migrazioni e ai rifugiati, richiedono una responsabilità diffusa per la ridefinizione della percezione che abbiamo del problema. Nelle comunità di vicinato, nei luoghi di lavoro, a scuola e nei gruppi di amici, è importante prendere coscienza del fatto che i confini dello Stato nazione non hanno più valore - oltre alle tragedie che in loro nome si sono prodotte - e che le culture locali possono fare molto per una civiltà delle differenze che, oltre a essere una scelta di convivenza, è anche una ricchezza culturale e esistenziale per tutti.