Gli inclusi come esclusi, ovvero il conflitto depotenziato

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

Non c’è più il razzismo di una volta, è la felice intuizione di Enrico Franco nel testo che segue, per indicare la “crisi” delle forme tradizionali di esclusione, negazione, pregiudizio, emarginazione, sfruttamento. Il tipo di “crisi”, nel senso di cambiamento di forma, delle modalità conosciute e tradizionali di negazione razzista, riguarda oggi, a ben vedere, anche la democrazia e l’informazione. E non si tratta, in fondo di tre cose diverse. In tutti e tre i casi, infatti siamo di fronte ad una nuova manifestazione del conflitto. Una manifestazione del conflitto che, mentre riguarda sia il razzismo che la democrazia e l’informazione, tende a presentarsi edulcorata e lubrificata di perbenismo, dando vita ad un conflitto depotenziato. In politica abbiamo assistito recentemente al voto massiccio alla Lega nord e all’inclusione di fatto degli immigrati. Come mai sia il nordest che il nordovest vivono questa realtà? Lo scarto, il clandestino o l’extra- comunitario sono quindi inclusi e funzionali ma “fuori” dalla realtà interna, esaltata, voluta, accettata? Vanno bene per il tempo e le situazioni che servono. Sono “accettati” in parte e a tempo. Nel governo attuale dell’Italia si manifestano forme di conflitto depotenziato in ogni momento. Ogni volta esisterebbero le condizioni per una contraddizione fondamentale dal punto di vista degli equilibri istituzionali continuamente sottoposto ad un’usura distruttiva, ma una lunga serie di edulcoranti corrosivi ne attutisce e neutralizza la portata. Del gioco fanno parte anche le sterili sceneggiate di finti e depotenziati “oppositori dall’interno” come Gianfranco Fini, firmatario della legge sull’esclusione e il respingimento degli immigrati, che non ha mai smentito la sua predilezione per la pena di morte. Il depotenziamento si mostra, in fondo, come uno degli ostacoli più efficaci all’accessibilità al conflitto. Nell’informazione i processi in atto sono coerenti con l’affermazione del conflitto depotenziato. La strada per depotenziare il conflitto dell’informazione e la sua portata di confronto di differenze e di sviluppo ed emancipazione dei punti di vista non è più censurare apertamente, ma sembra identificarsi con il “dire troppo” creando ridondanza perché non si capisca nulla. Dire troppo e tante volte crea non solo saturazione ma anche opacità e, quindi, una forma mutevole di censura tendenzialmente a-conflittuale. Se la censura classica eliminava le notizie o ne impediva la trasmissione alle comunità, l’eccesso di informazioni di cronaca, riempitive e cariche di emotività spicciola, unitamente alla dominanza di informazioni positive, creano una ridondanza frastornante in cui l’eccesso cela ciò che accade. Se si considerano le interdipendenza tra forme inedite di razzismo, crisi della democrazia e delle istituzioni e nuove forme di censura, siamo di fronte a quella che Pedrag Matvejevic ha chiamato “democratura”. Criticare i concetti di inclusione, di tolleranza, di conciliazione, efficacissimi edulcoranti per l’affermazione di un conflitto depotenziato, può essere una via per aprire spazi di accessibilità al conflitto, oggi più che mai necessario.



Non ci sono piu' i razzisti di una volta

Di Enrico Franco (dal Corriere del Trentino, 20 giugno 2010).

Non ci sono più i razzisti di una volta. Purtroppo.

Un tempo era tutto chiaro. Da una parte chi discriminava gli esseri umani in base alla loro razza (o religione, o provenienza), dall’altra chi credeva nell’uguaglianza di diritti, doveri, opportunità. Adesso no, adesso è diverso.

Certo, i razzisti «puri» esistono ancora, ma sono un’esigua minoranza. Per certi aspetti, sono il pericolo minore, in quanto definito e riconoscibile. La vera minaccia, invece, è data dalla zona grigia. Quella della xenofobia, della paura dello straniero e del diverso in genere. In Alto Adige — come ha appurato una ricerca sull’estremismo commissionata dalla Provincia e i cui risultati sono stati presentati giusto l’altro ieri dall’assessore Theiner — uno studente su tre non vuole avere rapporti con giovani extracomunitari.

Ancora peggio di questi ragazzi, tuttavia, sono gli adulti che adottano la logica delle geometrie variabili: fin qui gli immigrati van bene, ma oltre no. E il «fin qui» cambia in base alle esigenze del momento (di «noi italiani» o «noi padani», ovviamente). Ci sono le mele da raccogliere, le camere degli alberghi da pulire, il nonno da accudire? Bene, porte aperte. Ma poi, finito il bisogno, un calcio e via, che tornino al paesello natio.

Sia chiaro, comunque, che «loro» non sono mai uguali a «noi». Possiamo anche assumere un musulmano per allenare la squadra di calcio locale, fingendo di ignorare che il «mister» svolge pure una funzione educativa, ma ciò non deve fornire allo straniero il pretesto per rivendicare i diritti della civiltà occidentale. Il «coach» vuole pregare Allah in un luogo di culto che abbia un minimo di dignità? «Non se ne parla», risponde il presidente (leghista) dell’associazione sportiva che lo ha assunto.

Insomma, la logica dello straniero usa e getta non sarebbe razzismo, ma semplicemente giusta difesa dei nostri valori (sic!). Vedere in ogni extracomunitario un potenziale malvivente non è esercitare un’odiosa discriminazione, bensì preoccuparsi della nostra sicurezza: e chi se ne importa delle statistiche secondo cui il tasso di criminalità degli immigrati regolari è inferiore a quello degli italiani! Sono soltanto le anime belle (solitamente comuniste) a pensare che un ladro o uno spacciatore vadano perseguiti in quanto tali, infischiandosene di quale nazionalità abbiano.

Ma sì, è un vero peccato che non ci siano più i razzisti di una volta. Quelli, tutto sommato, erano meno pericolosi dei trasformisti di oggi che seminano veleno e delineano una moderna forma di schiavitù. No, niente catene, nessuna frustata sulla schiena: tu soddisfi i miei bisogni e io ti pago anche (magari poco e in nero, ma ti pago). Però, per favore, lavora e taci, non pretendere di avere un’abitazione decente o addirittura di pregare il tuo Dio. Soprattutto, non disfare la valigia, caro il mio straniero, perché quando non sei più necessario devi tornare a casa tua, quella vecchia, lontana da qui. Lasciaci solo un recapito telefonico, casomai un domani ci servisse ancora il tuo aiuto.

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