La paura e il conflitto

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Un auspicio del nostro tempo è che la nostra capacità di pensare ci preservi dal consegnarci alla paura e alla distruttività reciproca. Sentiamo la paura dentro di noi e per le strade le persone non parlano d’altro. Nelle piazze e all’inizio dei mercatini di Natale, con circospezione le persone si guardano intorno e auspicano controlli e sicurezza. La capacità di pensare si rivela ancora una volta una delle più difficili per noi esseri umani. Eppure l’altro è la base e la condizione per incontrare noi stessi. È difficile sostenerlo in questo momento. Quando si affermano la distruzione e l’antagonismo, la situazione mors tua, vita mea, riflettere e pensare sono come sospesi. Non abbiamo voluto gestire il conflitto interno a ognuno di noi e con gli altri, mano a mano che si sono presentate le occasioni. Gestire il conflitto vuol dire riconoscere le differenze e cercare di farle dialogare, siano esse di interessi, di culture, di identità, di conoscenza. Se vuoi la pace gestisci il conflitto: la condizione, però, è considerare le ragioni dell’altro. Quelle ragioni andrebbero riconosciute in tempo e non quando la guerra è già cominciata. Dopo è molto più difficile; ora è molto difficile. Le manifestazioni diffuse contro la guerra, quando fu attaccato l’Iraq, nel 2003, rimasero inascoltate. Quelli che provarono a dire che quella situazione bisognava affrontarla diversamente, furono emarginati o derisi. Da quella tragica guerra in particolare, come si riconosce da più parti, si sono dipartite conseguenze che è difficile non collegare a quanto ci sta accadendo. Comprese le ragioni economiche e gli interessi che ruotano intorno al traffico migratorio di esseri umani. Accanto alla tragedia delle vite spezzate, la conseguenza più drammatica di quanto sta accadendo è proprio la paura, con i suoi effetti. Le misure di restrizione delle libertà; l’affermazione di idee totalitarie e bellicose; il coinvolgimento ulteriore nei conflitti del vicino Oriente, sono proprio queste le cose che il terrorismo vuole. Portare divisione nell’opinione pubblica dei nostri paesi e delle nostre comunità è un altro obiettivo evidente. Vi è, inoltre, da domandarsi che cosa produce l’emarginazione sociale di interi gruppi di giovani nelle nostre realtà. La capacità di reclutamento è, infatti, penetrata nelle menti di giovani nati e cresciuti in occidente perché è in grado di proporre progetti di realizzazione e di protagonismo individuale che sono molto carenti oggi in larga parte delle nostre società. L’immagine che se ne ricava è che solo una buona gestione del conflitto interno a noi e con gli altri ci potrà evitare di vivere in uno stato di guerra permanente. Per questo però dobbiamo educarci, pensare e conoscere e non buttarci nella mischia e agire alla cieca.