Imparare i linguaggi della contemporaneità*

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc

Il Master Unesco per la gestione dei beni naturali di Tsm/Step si apre alla cittadinanza con tre lezioni magistrali.

Imparare nuovi linguaggi è una condizione indispensabile della nostra contemporaneità. Quei linguaggi non si imparano da soli, ma assistiamo a un sempre maggiore impatto delle reti e delle relazioni interpersonali sulle performance e sull’intelligenza collettiva. La ricerca di nuove frontiere per vivere nei territori, con particolare attenzione agli orientamenti smart ha bisogno di interrogarsi sulle condizioni di reinterpretazione del presente. Questo vale anche per la vita in montagna e per i modi di intendere la montagna e frequentarla, in un’epoca in cui la ridefinizione del rapporto tra corpo, esperienza e paesaggio assume nuovi significati. Non si può, inoltre, prescindere dall’esigenza di sostenere apprendimenti cooperativi basati sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che cambiano in continuazione le nostre vite. Proprio per occuparsi di questo intreccio di questioni, gli incontri Master invita, che ogni anno il Master Unesco per la gestione dei patrimoni naturali di Tsm/Step dedica ad approfondimenti aperti alla città e al territorio, saranno dedicati ad alcuni aspetti decisivi dei linguaggi della contemporaneità. Si affronterà il tema della vivibilità nei territori con Roberto Masiero, dello IUAV di Venezia; sarà poi Giorgio De Michelis, uno dei massimi studiosi delle tecnologie di cooperazione e di intelligenza collettiva, a occuparsi di processi cooperativi e innovazione manageriale; Franco Brevini proporrà, infine, un nuovo alfabeto per leggere la montagna e rapportarsi ai territori montani. Che cosa può voler dire imparare i linguaggi della contemporaneità? Si potrebbe dire, con due studiosi come E. Schmidt e J. Cohen, che Internet è una fra le poche invenzioni dell’uomo che lui stesso non capisce fino in fondo e che, forse, si tratta del più grande esperimento di anarchia della storia, come gli autori sostengono ne La nuova era digitale. La rete però non solo non favorisce, di per sé, la fine delle gerarchie, né da sola alimenta la leggerezza e un nuovo modello di sviluppo più appropriato alla limitatezza delle risorse disponibili. Insomma non siamo di fronte a una maggiore libertà e all’affermazione di forme di cooperazione diffusa e spontanea. Senza un impegno e un investimento in immaginazione, cultura e progettualità, le trasformazioni in atto possono diventare uno svantaggio ed essere solo subite. Se i linguaggi cambiano, insomma, o li si impara o si diventa analfabeti. È la correlazione tra conoscenza, territori e lavoro il luogo per lo sviluppo di nuove forme di cooperazione e di intelligenza collettiva. A questo livello il dialogo tra la città e le valli, tra i modelli di vita montani e quelli urbani è non solo indispensabile, ma una forma di vita da privilegiare per distinguersi. Le reti cooperative possono realizzare quello che con la mobilità solo fisica e la civiltà solo materiale non era neppure immaginabile. Purchè non ci si consegni a una sorta di passiva robotizzazione dei ruoli umani per cui le tecnologie della comunicazione e dell’informazione, già pervasive, servano solo a ritrovarsi in solitudine davanti a uno schermo a chattare, ad acquistare, a giocare o a scambiarsi indifferenza. Mentre la prospettiva smart, pur con tutti i limiti di un abuso della formula - che rischiano di consumarla ancor prima che produca qualcosa di buono – richiama l’importanza della leggerezza di calviniana memoria nel governo e nella gestione degli spazi urbani e dei territori tutti, abbiamo bisogno di una profonda introiezione cognitiva per comprendere quali strade seguire nello sviluppo e quali competenze divengono necessarie. È qui che entra in campo l’intelligenza collettiva che può migliorare l’apprendimento e sviluppare le performance. Oggi innovare e innovarsi non risponde ad una soluzione di un problema ben definito e a un progetto corrispondente formulato una volta per tutte da qualcuno e calato sugli altri. L’innovazione deriva da una combinazione armonica di qualità diverse e spesso non predefinibili del tutto, se non nelle parti essenziali. Quella composizione richiede che ciascun soggetto, pur operando nella propria competenza specifica, capisca il lavoro degli altri e si impegni a far capire il proprio. Ciascuno, insomma, deve mettere in discussione se stesso e imparare ad ascoltare e a farsi ascoltare. Riferendosi alla famosa affermazione aristotelica che il tutto è più della somma delle sue parti, è necessario accorgersi che la levità nella gestione degli interventi territoriali, una considerazione appropriata dei vincoli e delle possibilità di modelli di vita in montagna, e una intelligenza collettiva al lavoro grazie a un uso evoluto delle reti, costituiscono insieme un compito ineludibile per le nostre comunità. Se il sapere è diventato la nuova infrastruttura che supporta il fare degli esseri umani, la sua circolazione e la sua messa in comune possono alimentare l’intelligenza collettiva di cui abbiamo bisogno.

*Corriere del Trentino