Civiltà del lavoro?

Di Ugo Morelli.


Hic et Nunc


Lo dice con convinzione e una certa ansia il tassista di Barcellona a cui ho chiesto scusa di interromperlo perché stava per accendersi una sigaretta, quando lo abbiamo chiamato perché ci portasse in aeroporto. Dice che di questi tempi è meglio lavorare che fumare. Il lavoro è diventato fonte di ansia: ansia di non averlo; ansia di perderlo; ansia che finisca; ansia di vederlo degradare. Ci fu un tempo in cui il lavoro era ritenuto un diritto. Nelle norme che ci siamo dati nel tempo è tuttora considerato un diritto, come nella nostra carta costituzionale, ma si tratta di una delle previsioni normative meno realizzate. I processi di esclusione sociale dovuti all’assenza di opportunità lavorative sono diventati normali anche nelle comunità locali come la nostra. Avere a che fare con giovani laureati, o anche specializzati, vuol dire essere di fronte a persone in stato di ansia permanente rispetto alle effettive opportunità di lavorare. Ormai sono alcune le generazioni che stanno vivendo quella che molti anni fa Rifkin aveva chiamato la fine del lavoro. Sia le multinazionali che vedono aumentare i propri profitti a vista d’occhio, ma non il numero degli occupati; sia le piccole imprese locali che patiscono la crisi strutturale senza riuscire a innovarsi e senza inserire competenze evolute, sono nella condizione di non domandare lavoro, di risparmiarlo o di espellerlo. Al centro della loro evoluzione ci sono le tecnologie, combinate con la creatività e l’elevata specializzazione. Da un mondo solo, sembra che se ne stiano creando due, separati e non comunicanti. In uno, una minoranza si arricchisce sempre più e si avvale degli effetti propulsivi delle tecnologie più avanzate. Nell’altro, una maggioranza sempre più estesa è esclusa e si impoverisce senza riuscire a trasformare in opportunità le proprie capacità. A livello locale le cose non vanno diversamente. Il turismo, l’agricoltura, i servizi non domandano competenze evolute perché non innovano o sono in crisi, come accade ad esempio nel sistema del credito. Tutti gli ambiti in cui si potrebbero creare nuove opportunità, come nella tutela e protezione dell’ambiente, non si riesce ad andare oltre, almeno per ora, alla gestione di attività povere di know how e, quindi, non orientate a domandare competenze professionali evolute. L’esperienza dei voucher è una cartina di tornasole della precarietà incondizionata e del dominio della paura nell’esperienza di lavoro. Nonostante i controlli introdotti, le storture più caratterizzanti non sono state risolte e la fungibilità di chi ha bisogno di lavorare è del tutto subordinata, con contenuti di professionalità particolarmente bassi. Il tassista di Barcellona, con la sua ansia e la sua affermazione, ha parlato per molti, troppi cittadini, per poter sostenere che vi sia oggi una civiltà del lavoro.