Un 8 marzo delle differenze

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


immagineMentre in Trentino non si riesce a uscire dal pantano delle cosiddette “quote rosa” e della problematica di una legge sul tema dell’omofobia; mentre, insomma, non si è capaci di scegliere in modo deciso e determinato per una civiltà delle differenze, arriva un altro 8 marzo e nel mondo accadono cose che potrebbero aiutarci a riflettere e finalmente ad agire. La differenza che ci pare di poter cogliere tra la situazione locale e il mondo sta nel fatto che, mentre qui ci si muove principalmente sul piano istituzionale e la società civile o sonnecchia o è indifferente, con qualche voce più o meno solitaria che si leva qua e là, a livello internazionale si generano movimenti che in molti paesi stanno agganciando la questione di genere a tutte le differenze che mettono intere fasce di popolazione in minorità e a rischio di precarietà. Proprio l’associazione tra differenze, culturali, etniche, di genere, di orientamento sessuale e affettivo, è quella che può dare un effettivo vigore alla questione del cambiamento di civiltà. Un’alleanza tra varie minoranze o parti di popolazione che portano differenze specifiche e che spesso sono poste in condizioni di dispensabilità, cioè non sono considerate indispensabili, può concorrere a creare una società plurale, più ricca e capace di futuro. La precarietà e la minorità possono operare come fattori accomunanti anche tra gruppi di popolazione diversi, su interessi e opportunità contingenti, purchè un cambiamento si generi dal basso e aiuti le istituzioni a decidere. Ad esempio in una scuola materna del Trentino sono emerse difficoltà tra i genitori rispetto alla decisione di accogliere tre bambini rifugiati, anche tra i benpensanti che al momento giusto hanno tirato fuori la solita storia delle risorse che sono prima di tutto per i trentini. È accaduto, però, che le insegnanti titubanti si siano accorte che senza quei tre bambini, e a causa del calo demografico, avrebbero potuto perdere posti di lavoro, e allora finalmente è stata rivista la decisione e si è scelta l’accoglienza. È tempo di riconoscere che un certo femminismo del “farsi avanti” e le altre varianti del femminismo aziendalista volto alla promozione di chi è già garantita, non hanno prodotto i frutti auspicati per la maggioranza delle donne e per la creazione di una civiltà in grado di accogliere e valorizzare le differenze. L’alleanza dei corpi, come l’ha chiamata Judith Butler, e quella delle donne in particolare, può generare una nuova stagione nella ricerca dell’emancipazione femminile, alleandosi, appunto, con i portatori delle molteplici differenze che chiedono voce, in modo da sollecitare anche le istituzioni locali a decidere su questioni di civiltà, come è proprio nelle loro responsabilità.