Il cuore satirico e ironico della nostra civiltà irpina

Maschere e facce, il nuovo libro di Claudio Bruno


Hic et Nunc


immagine“Ciò che non conosci lo trovi dove non sei mai stato”, recita un antico proverbio africano, raccolto da Marco Aime nel libro Il soffio degli antenati, Einaudi 2017. Lo spaesamento non è il contrario dell’appartenenza, anzi è una continuazione del suo consolidamento non solo celebrativo e pertanto superficiale ed effimero. La satira e l’ironia sono un modo di prendere la giusta distanza per affinare il senso del tempo, dei luoghi, delle culture e della evolvibilità di una intera società. Troppo poco ci consentiamo ironia e satira, avendo un prevalente orientamento perbenista e consensuale su un presente non sempre preferibile. Bene ha fatto allora Claudio Bruno, con il contributo decisivo e impeccabile di Federico Iadarola e altri importanti fotografi, a documentare maschere e facce dell’ironia, della dissacrazione, della festa e dei riti irpini, in un libro di saggi e immagini, dal titolo Maschere e Facce, appena pubblicato. Ogni realtà è un mondo e le sue pieghe non si lasciano spiegare, stando in questo il suo fascino e la sua attrazione. La narrazione, più che spiegare, accarezza le cose che tratta ed è una forma di conoscenza discreta, eppure profonda. A narrare sono immagini e parole, nel libro di Bruno.Allo stesso tempo l’inspiegabile dei mondi culturali delle comunità umane è la frontiera della conoscenza. La mancanza che può essere il grembo generativo di quello che ancora non siamo e ancora non conosciamo, si appaga e compensa, seppur parzialmente, sporgendo il passo e lo sguardo nei luoghi reali e immaginari dove non siamo mai stati. Poche altre esperienze come quelle derivanti dalla provocazione delle icone sotto forma di maschere diffuse sui portali e lungo le vie, davanti alle chiese e alle case nobiliari, consentono di comprendere come le comunità si siano concesse di ironizzare su se stesse e di trasgredire l’ordine per forzarlo finalmente verso il possibile, verso l’inedito e l’impensato, sottraendolo alla saturazione e alla consuetudine.

Mentre le maschere diventano un tutt’uno con una voce che quasi si sente guardandole, il narratore immaginario che esse rappresentano si fonde con la narrazione, dando vita a molti personaggi, e senza bisogno di cambiare abito e trucco ognuno di noi si sente almeno in parte rappresentato da quell’indicibile che le maschere pure esprimono. Non bisogna pensare che non si generino letture articolate e organiche di quanto ogni maschera narra e del suo “oggetto” di conoscenza. “Al di là della descrizione delle immagini pure e semplici, l’analisi strutturale del racconto del libro potrà portare alla scoperta di un ordine di valori, espresso esplicitamente dalle icone del narratore immaginario che dietro ogni maschera si cela. Così come le descrizioni dei luoghi dove le maschere sono situate, possono aiutare e ricostruire l’ambiente del passato e se non è sempre possibile datare gli avvenimenti è però possibile stabilirne la sequenza e il senso della presenza.

Le maschere e le facce sono luoghi della memoria nel libro di Bruno e finiscono per diventare un documento antropologico per comprendere aspetti celati dalla prevalenza delle parole per dire chi siamo stati e chi possiamo essere.

Anche la critica delicata al primato della scrittura nelle società letterate, con conseguente messa in secondo piano della memoria individuale e soprattutto collettiva, costituisce un contributo di civiltà e di pluralismo che, tra le altre cose, riceve oggi decisive conferme a livello di ricerca neuroscientifica sul ruolo, le funzioni e le dinamiche della memoria nella nostra vita. Un proverbio africano raccolto da Aime, che sintetizza tutto questo, è impressionante per la sua anticipazione e precisione scientifica:

“Quando la memoria va a raccogliere i rami secchi, torna con il fascio di legna che preferisce”

Se consideriamo il contributo di uno dei più importanti studiosi della memoria, Eric R. Kandel e, in particolare l’analisi delle fasi essenziali di un processo di conoscenza basato sulla memoria, scopriamo che nel momento in cui l’informazione raggiunge le regioni superiori del cervello è valutata una seconda volta, dopo la selezione iniziale in ingresso. “Questa rivalutazione top-down opera in base a quattro principi: sono trascurati i dettagli percepiti come irrilevanti per il comportamento in un dato contesto; si cerca ciò che è costante; si tenta di astrarre le caratteristiche costanti fondamentali di oggetti, persone e paesaggi; e, cosa particolarmente importante, si confronta l’immagine attuale con le immagini incontrate in passato”. [E. R. Kandel, Arte e neuroscienze. Le due culture a confronto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017; p. 38]. Alla New York University Medical School, il gruppo di ricerca creato da Kandel si dedica all’analisi dei comportamenti elementari del mollusco, nel caso specifico la lumaca Aplysia. Questi studi hanno permesso di dimostrare che, sebbene le connessioni anatomiche tra neuroni si sviluppino in base a un piano definito, la forza ed efficacia delle sinapsi non è totalmente determinata durante lo sviluppo, e può essere alterata dall’esperienza.

Ne deriva la rilevanza dell’epigenesi emergente dalla intersoggettività, dalla narrazione e dall’esperienza. È soprattutto importante il gioco delle differenze e gli spiazzamenti che possono derivare dal confrontarsi con le discontinuità, come vie per fare i conti con la nostra prevalente propensione alla conferma e a consegnarci alla forza dell’abitudine. Nel processo di selezione, ricerca delle costanti, astrazione e comparazione, tendiamo prevalentemente a ricondurre tutto al già noto e alla sua dimensione rassicurante, scartando l’ignoto, l’inedito, il nuovo, il diverso, con conseguenze non sempre desiderabili per le nostre vite.

Le maschere e le facce documentate da Bruno ci portano oltre le storie oleose e agiografiche, ripetitive e ridondanti che oggi si ammassano in un’affannosa quanto vuota celebrazione della tradizione. Quelle maschere documentano una storia delle popolazioni irpine che hanno nel tempo saputo guardare con ironia a se stesse e valicare i limiti della consuetudine e del conformismo. Non è necessario sottolineare quanto tutto questo oggi sarebbe necessario e opportuno per rompere una stasi verso la quale l’ironia e il sarcasmo possono esercitare un’efficace corrosione.