Tra mediocrità e ricerca di leadership

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


immagineUn paradosso che, tra gli altri, attraversa queste ore convulse di campagna elettorale, riguarda l’attesa quasi messianica di un cosiddetto leader considerato come un salvatore, e l’effettiva capacità dei candidati di porsi al di sopra della mediocrità che oggi sembra caratterizzare coloro che accedono alle candidature. A livello locale, nonché in campo nazionale, il processo selettivo che porta, alla fine, alla possibilità di candidarsi è così caratterizzato da misure e contromisure, da lasciar passare solo chi è conforme a un certo standard, e quello standard deriva dalle peggiori applicazioni di criteri di appartenenza, intesa come verificata e sicura fedeltà. Gli altri, coloro che potrebbero o vorrebbero impegnarsi in qualche modo per il governo della cosa pubblica, si guardano bene da mettersi in gioco, sia perché non hanno il linguaggio per farlo, sia perché una qualche originalità di proposta da parte loro, risulterebbe presto incompatibile. Analizzando i linguaggi e i contenuti dominanti nelle proposte elettorali, ad esempio, fa impressione il rapporto tra la ripetitività di quanto espresso dai candidati e la concentrazione o totale negazione di certe questioni. In base a un malcelato criterio di convenienza in termini di consenso, ad esempio, un tema del tutto evitato, come ha segnalato Nicola Lugaresi sul Corriere del Trentino, è uno dei più urgenti: la crisi ambientale. Non ne parla quasi nessuno perché si tratta di un tema scomodo; un tema su cui le promesse dovrebbero richiamare limiti e questioni di sostenibilità; riduzione dei consumi e maggiore responsabilità individuale. Molto cavalcati, con una gara a chi formula le proposte più lusinghiere e più aspre, sono naturalmente i temi delle migrazioni e dei migranti e i temi della riduzione delle tasse, su cui i toni hanno raggiunto soglie di inciviltà inaudite e illusorie. Come sempre è il rapporto tra leadership e linguaggio il fattore rivelatore delle qualità in campo. Si assiste così a ridondanze linguistiche, con espressioni sempre misurate per non urtare sensibilità, o smisuratissime per catturare malcontenti e risentimenti umorali. Né l’una, né l’altra via fanno però una leadership. Sulla scena allora passano figure che spesso sono controfigure. In qualche caso si mostrano insieme a qualcun altro che una certa leadership mostra di avere, nel tentativo di lustrarsi l’immagine, ma di fatto evidenziando solo il proprio complesso di inferiorità. Sì, perché la leadership è fatta di legittimazione e di capacità di proposte attendibili, che per essere tali devono essere belle e almeno in parte costose per chi le esprime e capaci di attivare responsabilità in chi le segue. Esercitare il nostro dovere e diritto di voto, significherà scegliere responsabilmente in un panorama in cui di messia non se ne vedono e forse questo non è neanche un male.