Pianificare la chiusura

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc


La riflessione per quanto possibile ponderata sul documento contenente le linee guida del Piano di sviluppo provinciale trentino, non può sottrarsi dall’evidenziare una linea di fondo che sembra accomunare le parole chiave: la chiusura. A partire dal cosiddetto cambiamento di prospettiva. Sostenere che “oggi la società trentina è sempre meno disposta a farsi governare dall’alto con azioni prescrittive, non discusse e non condivise”, significa identificare il governo con la disposizione ad assecondare la cosiddetta volontà popolare. Com’è noto questa è una soluzione che anziché affrontare la crisi della democrazia partecipativa, finisce per fare dell’azione politica la via per accontentare le richieste per scopi di consenso. Laddove governare dovrebbe voler dire combinare autorità responsabile di chi decide e partecipazione attiva della popolazione. Non avremmo mai avuto il divieto di fumare nei luoghi pubblici se avessimo assecondato i fumatori. Non rispetteremmo le conoscenze scientifiche se assecondassimo la scelta di non vaccinare i bambini. Governare è un processo ad almeno quattro componenti: la responsabilità di decisione di chi detiene la delega a governare; il rispetto delle regole fondamentali come quelle costituzionali, da parte di tutti; la conoscenza necessaria per scegliere; la partecipazione e il consenso che legittimano le decisioni. La prospettiva di base del Piano di sviluppo provinciale pone da subito il tema della sicurezza come obiettivo fondamentale. Qualcuno un giorno spiegherà dov’è il grande problema della sicurezza in Trentino, e per quale motivo questo sia un tema, in una terra tra le più sicure che si conoscano, da porre al centro del Piano di sviluppo. Uno tra i più grandi antropologi contemporanei, Arjun Appadurai, ha intitolato un suo libro sull’ossessione inventata della sicurezza oggi, Sicuri da morire. Al localismo territoriale viene piegata anche la ricerca, con il tema consueto delle cosiddette ricadute. Sarebbe importante in proposito che si analizzassero le limitazioni e le resistenze che le comunità locali, chiuse nel loro campanilismo e nella loro carente disposizione all’investimento innovativo, oppongono a ogni tentativo di applicazione della conoscenza, anche a causa dell’assistenzialismo pubblico e della limitatezza di competenze presenti. Come sarebbe essenziale capire che la ricerca è ricerca e non ha confini, per produrre esiti efficaci. Lo scarto esistente nel documento tra gli orientamenti politici così impostati e la genericità delle proposte che avrebbero dovuto essere concrete, emerge con evidenza con la mancanza di progetti sull’internazionalizzazione, con la genericità con cui sono trattate cultura e alta formazione, con l’assenza di progetti sul paesaggio, la vivibilità e il clima, per citarne alcuni. Se il dichiarato è che serve un cambio di orizzonte, dagli esempi riportati, e dalle altre parti del Piano, si ricava più che altro una chiusura di orizzonti.