Orgoglio e giudizio

Di Ugo Morelli


Hic et Nunc

In una terra dove la solidarietà e l’economia sociale di mercato - quella che ritiene che sia l’economia per le persone e non viceversa - registrano più di un secolo di storia, che ne ha cambiato i connotati in meglio, sarebbe quanto mai opportuno un moto di orgoglio. Trascorrono giorni che dovrebbero essere di riposo e distensione, ma è difficile rilassarsi. I pensieri sono tanti e il clima non aiuta. Eppure viviamo un tempo in cui sembra che chi non è felice peste lo colga. Una specie di tirannia accecante dell’ottimismo si aggira nei nostri giorni e la cosa si appoggia su scelte ben precise. Se siamo singolari, più soli e centrati su una felicità divenuta necessaria, non è un caso. Chi non ricorda le retoriche managerialiste del proporre soluzioni e non problemi? Chi non riusciva magicamente a essere risolutore ottimista era poco valorizzato. Chi non sperimenta una lunga fila di bisogni che all’improvviso divengono indispensabili, senza i quali non si è felici, e che solo poco tempo prima non erano neppure all’ordine dei pensieri più remoti? Siamo in un tempo in cui sembra vigere una dittatura della felicità, che ci fa rientrare tutti nella solitudine e nell’estetica triste, ben lontani dalla sobrietà che, anch’essa è stata uno dei tratti caratterizzanti di queste terre e di queste società. Non solo. Ma alla base del modo di pensare imperante che si è diffuso, c’è l’idea che ognuno che felice non è sia il solo responsabile della propria condizione. Ora la felicità, intesa come il sentirsi bene e a proprio agio, avendo quello che serve per vivere in modi sufficientemente buoni, è una condizione che tutti desideriamo e per la quale tutti ci impegniamo. C’è una questione di fondo, però, da mettere in campo. La felicità è un bene che deriva dalle relazioni con gli altri e dalla qualità della vita sociale e pubblica. Solo una visione individualista e egoistica dell’essere umano può pensare il contrario. Ed è quella che purtroppo si è affermata. I pregiudizi si sono così intrecciati con le nostre vite che richiedono un investimento deliberato per districarli. Qualche giorno fa un allievo di un paese di montagna mi ha raccontato che, dopo che un giovane prete nero aveva celebrato una bella Messa a cui aveva partecipato, due signore sul sagrato si sono rivolte a lui lodando la chiarezza e la qualità dell’omelia del prete. Nell’escalation di lodi del tipo: hai visto, è nero, ma che bravo, una delle due ha sussurrato: sapete cosa vi dico, secondo me non è neanche mussulmano! Abbiamo bisogno di un’inedita capacità di giudizio e di uscire da queste trappole della mente individuali e collettive. Un esempio tra tutti è l’aspettativa che una realtà importante come Cassa Centrale Banca, il gruppo bancario che nasce dalla cooperazione trentina e che può essere ambasciatore nazionale e europeo dei valori della solidarietà e dell’economia cooperativa, proponga un modo di fare impresa e economia che metta le persone al centro, per una nuova civiltà del lavoro e della vita collettiva.