Ospitalità e civiltà

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc




Ogni giorno abbiamo occasioni per riflettere sulle trasformazioni richieste dal tempo in cui viviamo. Si tratta prima di tutto di trasformazioni dei nostri orientamenti culturali e del nostro stile di vita. Gli avvenimenti, come è accaduto nella triste storia di Bergamo, possono aiutarci a smentire i nostri pregiudizi e a svelare le perversioni in cui possiamo cadere quando si tratta di vivere le differenze molto impegnative che il tempo attuale ci presenta. Le realtà locali sono esposte come le grandi metropoli, perché per molti aspetti tutti i sistemi locali sono globali e il mondo è diventato una grande periferia. Così un valore di riferimento da cercare nel nostro tempo, una via per creare una civiltà vivibile, è un valore antico: l’ospitalità. L’aspetto più problematico a proposito dell’ospitalità è una trasformazione tacita avvenuta sotto i nostri occhi, che merita attenzione. Spesso, infatti, oggi riteniamo che la pratica dell’ospitalità si identifichi con la creazione più o meno consapevole di categorie per classificare chi è più o meno ospitabile. La perversione del concetto politicamente corretto di “tolleranza” nasce da un atteggiamento simile, celando il fatto che la tolleranza implica un tollerante che decide chi, come e quando tollerare un tollerato. Il rapporto con l’altro, se intende essere tale, si può instaurare in risposta a un appello e non a una categoria. È con la sua presenza che l’altro ci interpella, per il semplice fatto che esiste e che dalla relazione con lui o lei noi traiamo il senso della nostra. Ci è richiesto di ragionare in termini di relazioni e non di regole. Ciò non vuol dire che le regole non siano necessarie. Sono necessarie e devono essere rispettate e fatte rispettare, ma non sono sufficienti per creare una società vivibile oggi. La negazione, l’indifferenza e la freddezza, i veri problemi della nostra vita nel tempo della crisi dei legami sociali e del dominio della paura, non si possono affrontare con le sole regole. I doni della vita giungono a noi attraverso coloro con i quali vivo. Coloro con i quali vivo sono tutti quelli che entrano nella mia vita, dai miei parenti a chi lavora per produrre beni e servizi necessari o per prendersi cura di un mio familiare. Nella chiesa dei primi secoli, di fronte alla creazione, da parte dei vescovi, di istituzioni sociali e società samaritane per occuparsi di categorie di persone diverse, dai senzatetto ai vagabondi, ai poveri, il grande padre della chiesa Giovanni Crisostomo mise in guardia di fronte al pericolo costituito dalla creazione degli xenodocheia, letteralmente “case per stranieri”: assegnano il compito dell’ospitalità a un’istituzione si sarebbe persa la civiltà di riservare un letto e un pezzo di pane pronto in ogni casa e le persone e le case non sarebbero più state ospitali. È importante accogliere la provocazione e farla fruttare dentro noi, per diluire le nostre paure e pensarci donne e uomini del nostro tempo che ci interpella e richiama la nostra responsabilità.