Clint Eastwood, la morte e la vita

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc


È probabile che solo quando ci saremo appropriati dell’esperienza della morte come parte costitutiva della vita, potremo divenire pienamente capaci di vivere la vita stessa come un progetto e un’invenzione. Nei tre film di Clint Eastwood, che vanno da One Million Dollar Baby, a Gran Torino, fino all’ultimo Hereafter, la morte diviene, per vie diverse, oggetto di analisi limpida e disincantata e materia di ricerca e appropriazione da parte degli esseri umani. Sia l’eutanasia, che la morte dedicata per scelta a una causa nobile, civile e meritevole, che l’analisi del significato stesso del morire, addentrandosi senza esoterismi e misteri, per così dire, sul suo terreno, divengono materia di approfondimento, con elevato livello di poesia. Forse è proprio l’arte, in questo caso quella cinematografica, a poter rendere possibile un accesso esplorativo reso così impegnativo dalla rimozione, sia religiosa che storica, della morte. Solo con l’avvento della coscienza simbolica socialmente condivisa ci siamo probabilmente accorti della morte e ne abbiamo simbolizzato la presenza, ritualizzandola. La sua incontenibile verità ci ha indotto a rinviare la sua impossibile comprensione e spiegazione a istanze sacre di molteplici caratteristiche. La tacita presenza, l’esternalizzazione della sua spiegazione e i tentativi di negazione e razionalizzazione si sono susseguiti nel corso del tempo e oggi viviamo un’epoca in cui, in particolare nei paesi occidentali, tende a prevalere la rimozione della morte. Affrontare la ricerca per un’appropriazione non significa che si possa neutralizzare l’angoscia della morte. Uno scienziato come G. M. Edelman sostiene: “la morte non è un esperimento”. Eastwood riesce però a porci di fronte ad una possibile svolta antropologica, in cui la morte, sottratta al suo dominio da parte delle religioni, può essere guardata in faccia come una delle più naturali esperienze umane e trasformata in occasione di pienezza, sia per sé che per gli altri. Possiamo considerare il dono di sé del protagonista di Gran Torino come un gesto di esaltazione del senso della vita attraverso la morte; possiamo riconoscere la grande prova di affetto per la protagonista da parte del suo allenatore nel momento finale di One Million Dollar Baby, come un gesto di grande civiltà e rispetto nella relazione io-altro; possiamo accogliere la bellezza della continuità dell’esistenza delle persone morte nella vita di chi li ha amati e li ama, in Hereafter. In ogni caso siamo di fronte alla ricerca di appropriazione di una continuità tra la vita e la morte che passa attraverso una appropriazione e una umanizzazione dell’esperienza della morte. Una prova di arte e inedita antropologia da parte di Clint Eastwood, che certamente esalta le possibilità di una nuova civiltà in cui gli esseri umani possono essere più padroni di se stessi e del proprio destino.