Mente e esperienza estetica

Di Ugo Morelli.
Archivio Sezione Hic et Nunc

L’arte e l’esperienza estetica rappresentano un terreno di prova particolarmente valido non solo per comprendere alcuni degli aspetti più distintivi e caratteristici degli esseri umani, ma anche per cercare le vie attraverso le quali possiamo affrontare le esigenze di innovazione e cambiamento che il mondo in cui viviamo ci pone innanzi. È il valore generativo della bellezza che ci interessa analizzare, se intendiamo la bellezza come quell’esperienza che emerge, allo stesso tempo, dentro noi e nelle relazionali con gli altri e il mondo. Si tratta di percorrere un cammino alla ricerca del senso e dei significati della bellezza nell’esperienza umana, riconoscendo che ci troviamo, con ogni probabilità, di fronte ad uno dei tratti distintivi della specie, una delle dimensioni peculiari mediante la quale ogni individuo della specie diventa se stesso. Prendendo il via dall’ipotesi che la bellezza possa essere, alfine, intesa come un sentimento particolarmente compiuto di risonanza incarnata che confermi o estenda il modello neurofenomenologico del sé, possiamo comprendere come essa emerge, si presenta e la sentiamo, con un doppio processo, interno e esterno. Di fronte a L’homme qui marche di Alberto Giacometti o a Him di Maurizio Cattelan il mondo interno di chi giarda è pervaso dal gesto e dall’opera dell’artista, in una risonanza indicibile. La stessa dinamica corporeo- psichica può generare esperienze del terrore e dell’orrore se quelle esperienze minacciano o pregiudicano il modo di sentirsi nella vita e nel mondo. L’arousal o attivazione è, probabilmente, alla base della tensione rinviante all’esperienza di bellezza e decisivo è studiare le soglie dalla cui elaborazione dipende l’accessibilità alla bellezza. Il Quadrato nero su sfondo nero di Kazimir Malevic propone l’infinito in una distinzione al limite del possibile. L’ipotesi più accreditata con cui l’esperienza estetica viene analizzata, utilizzando in particolare gli approcci delle neuroscienze cognitive e della fenomenologia, è che l’accessibilità alla bellezza, intesa come espressione sufficientemente buona del proprio mondo interno nella relazione con gli altri e il mondo, sia possibile e difficile allo stesso tempo, perché la bellezza è ambigua e accedervi esalta il suo contrario, non lo supera ed elimina. Più s’intensifica la luce, più aumenta la sua separazione dall’ombra; i margini divengono confini e, perciò, più difficili da attraversare. Più alta è l’esperienza di bellezza che si para innanzi, più sembrano ridursi le possibilità e lo spazio del significato e del linguaggio per accedere all’espansione interna richiesta: quell’accesso esige un’apertura all’immediatezza dell’indicibile e allo stesso tempo riduce la resilienza degli equilibri e degli ordini di senso esistenti, esaltando il valore rassicurante di questi ultimi. È forse in questa dinamica che si situa uno dei principali ostacoli alla creatività e all’innovazione. Eppure l’arte ci mostra costantemente e in modo infinito che la generazione dell’inedito, quello che ancora non c’è, non solo è concepibile e possibile, ma effettiva e concreta. Anche la serialità sfidata sul suo stesso terreno da Andy Warhol non degrada mai nella ripetizione.

Se si considerano gli ultimi dieci anni di ricerca nel campo delle scienze cognitive e della psicologia della creatività e dell’innovazione, con un assiduo dialogo con i risultati delle ricerche neuroscientifiche applicate all’esperienza relazionale umana e all’esperienza estetica, è possibile accedere ad una visione meno mentalista ed idealista della creatività umana. Basti pensare alla starordinaria connessione che si ravvisa tra i segni paleolitici di Lascaux e i tratti elementari e originari di Basquiat. A partire da un’attenzione al tempo profondo dell’evoluzione, rispetto al quale, in epoche recentissime, abbiamo cominciato a creare segni per un altro, mostrando di sentire quello che l’altro sente, noi possiamo ora riconoscere di aver elaborato la nostra distinzione biologico-evolutiva verso una fenomenologia in cui l’immaginazione e la creatività hanno un ruolo costitutivo e generativo. Non nella ricognizione e rappresentazione del reale consiste l’esperienza del creare e del conoscere, ma nella considerazione della realtà in quanto cifra, codice rinviante all’ulteriorità del senso, a cui l’incompiutezza di ogni esperienza e la mancanza rimandano, proponendo già l’oltre e il possibile, come nell’insondabile magnetismo di alcune opere di Anish Kapoor. Quella mancanza propria di noi esseri che nasciamo neotenici, incompleti e incompiuti, e che all’incompiutezza dobbiamo lo spazio del possibile divenire e della capacità di creare mondi con l’immaginazione e la creatività. Le opere fotografiche della serie Site Specific di Olivo barbieri rispondono alla tensione tra l’infinitamente piccolo, un punto di fuoco, e l’infinitamente grande. Nella rottura di ogni orizzonte in cui potrebbe concludersi, sta sia il compimento della chiarezza razionale del conoscere, che la sua generativa incompletezza creativa che rinvia al “non ancora”. Fra tendenza alla semplificazione e tensione rinviante, si generano la creatività e la conoscenza, che sono possibili per la nostra continuità evolutiva originaria e le nostre caratteristiche emergenti, neurofenomelogicamente distintive. Il costante riferimento al cervello nell’opera di Jan Fabre pare proprio dialogare con questo fondamento naturale della nostra creatività. Del resto ognuno di noi si chiede come crea quotidianamente la propria vita e oggi sappiamo che ciò dipende da come il cervello media la cognizione sociale, le relazioni interpersonali e le interazioni affettive e cognitive nei gruppi, nelle istituzioni e nei contesti sociali. Sappiamo di essere una specie relazionale e nelle relazioni costruiamo anche la nostra esperienza estetica e le domande che la accompagnano senza sosta. Che cosa ci incanta di fronte a un paesaggio? Perché ci commuove una sinfonia? Quando ci perdiamo in un quadro o nelle forme di una scultura cosa ci sta accadendo? Perché creare o affrontare l’inedito, quello che prima non c’era, ci attrae e ci fa paura allo stesso tempo? Come può un verso di una poesia risuonare dentro di noi fino al pianto? Di che cosa parliamo quando parliamo di arte e di esperienza estetica? Quando il mondo arriva dentro di noi fino al punto di ispirarci una particolare esperienza di elevazione o quando generiamo qualcosa direttamente o siamo di fronte a qualcosa che altri generano, ma anche quando siamo presi e catturati da un paesaggio, da un tramonto, da una persona o da un fiore, ci troviamo nello spazio della meraviglia, dell’oltre, del non ancora. Quello spazio è l’esperienza estetica. E’ in quello spazio esistenziale che ci rendiamo conto che la bellezza fa venir voglia di creare. Proprio in simili circostanze possiamo riconoscere che la creatività per noi è composizione e ricomposizione almeno in parte originale di repertori disponibili. Ed è in quel gioco tra realtà e immaginazione che sperimentiamo il valore generativo della bellezza. Sia quando riguarda un’opera, una persona o una situazione, sia quando riguarda il nostro mondo interno e l’espressione e la realizzazione di noi stessi. Creatività ed esperienza estetica intervengono nella nostra vita ed emergono nelle nostre relazioni con gli altri: possono essere più o meno riconosciute nelle situazioni lavorative e nella vita quotidiana. Tutto dipende da quanto spazio, per la libertà d’immaginazione e di innovazione nelle relazioni interne abbiamo lasciato vivere nei luoghi dell’educazione, del lavoro e della vita. Tutto il lavoro, tra design e arte, di Ettore Sottsass, ad esempio, lo testimonia. La creatività, l’arte e l’innovazione sono perciò intimamente connesse. L‘ipotesi oggi più accreditata è che la nostra sia una specie naturalmente creativa, contraddistinta da una distinzione, la tensione rinviante, che ci porta a creare costantemente i mondi che abitiamo, fino alla creatività artistica che è uno dei vertici della creatività umana. L’esperienza della creatività umana si connette, inoltre, all’innovazione sociale, intesa come un processo di condivisione della creatività, mediante l’elaborazione dei vincoli e delle possibilità del riconoscimento.

Ugo Morelli, è autore del libro Mente e Bellezza. Arte, creatività e innovazione, prost-fazione di Vittorio Gallese, Umberto Allemandi & C., Torino 2010.