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Nomadic Work

LAVORO, ANSIE E MONDO INTERNO
POETICHE DEL COMPORTAMENTO TRA LINGUAGGIO E RELAZIONI, OGGI

Si può ipotizzare una quarta ansia primaria o afanica?

Di Ugo Morelli
Casa Filette, 1 gennaio 2020

Vagare in un paesaggio senza origine né fine
non significa essere perduti.
Non significa nemmeno trovare un altro fine.
Significa altro, ancora, ostinatamente, altro”.
[Jean-Luc Nancy]

NOMADIC WORK

Il lavoro è divenuto nomade. Le sue caratteristiche prevalenti, sia per chi ha un lavoro abbastanza stabile e si muove continuamente da una posizione all’altra e da un luogo all’altro nella scena globale, sia per chi vive la precarietà e provvisorietà lavorativa, passando di lavoro in lavoro, richiamano sempre più da vicino una regressione a forme di attività simili all’economia dei raccoglitori nomadi. Il contesto attuale, così profondamente cambiato, fa sì che il nomadismo assuma oggi una connotazione che lo rende più simile alla schiavitù che ad una condizione spontanea, per quanto faticosa, di ricerca di risorse. Appare, infatti, evidente, che siamo di fronte ad una profonda disuguaglianza e ingiustizia nella distribuzione delle risorse, e non solo di fronte a una questione di organizzazione e di modalità e tecniche di produzione. Non ci si muove più in concomitanza con i cicli della natura e degli altri animali, ma nel tentativo di sopravvivere alle forme di vita profondamente ingiuste e disuguali dominanti. Gli esseri umani tornano a somigliare a lumache che si portano dietro la propria capacità più o meno elevata e più o meno riconosciuta, in cerca di opportunità più o meno disponibili e troppo asimmetricamente distribuite. Le trasformazioni delle forme lavorative evidenziano effetti ansiogeni sul mondo interno e sulla vita psichica delle persone rispetto al lavoro che, probabilmente, non sono più riconducibili soltanto alle ansie primarie finora riconosciute dalla ricerca psicosocioanalitica . Lo stesso sembra accadere a livello degli affetti e del desiderio, a livello dell’amore e del legame sociale. Le manifestazioni e il ruolo delle ansie primarie, sia nel lavoro che nell’amore e nel legame sociale, sembrano a loro volta relativamente modificate, soprattutto per la crisi di contenimento e di elaborazione, principalmente negli affetti primari e per le trasformazioni profonde dell’esperienza sociale, lavorativa e organizzativa. In particolare, è in gioco la crisi della disposizione ospitante e di contenimento delle istituzioni lavorative, con effetti sull’ansia persecutoria, quell’ansia con risvolti paranoidi che riguarda l’aspettativa di un riconoscimento condiviso; così come la crisi del senso di appartenenza organizzativa, dovuta principalmente alla fluidità e indefinitezza delle forme istituzionali, agisce, modificandole, sulle dinamiche ansiogene di natura depressiva, quelle dinamiche che interessano l’elaborazione dei vincoli da inclusione e ripetizione. Le istituzioni lavorative, in quanto polo referente della terza angoscia, o della bellezza, non sono più al centro delle aspettative e della progettualità soggettiva, né sembrano incidere in modi rilevanti su aspetti reputazionali o di autotradimento. In questa situazione sembra affacciarsi e divenire patente, una dinamica ansiogena collettiva e individuale finora probabilmente latente: un’angoscia afanica, implosiva, di non desiderio, di non suscettibilità di attivazione e manifestazione, di astensione a esprimersi, connessa anche alla progressiva dematerializzazione dell’oggetto, col passaggio prevalente dalla forza fisica alla cognizione, che pare anestetizzare o neutralizzare, prima che nasca, la forma vitale e la disposizione a cercare e ad esprimere propositività e vita attiva.

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