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Dialogo

Trento, 11 aprile 2020

Sempre quel che si può raccontare (anzi: dire) è una trasformazione; sempre il senso si manifesta nella trasformazione,
sempre gli “stati” (delle cose, dei corpi, degli animi) sono provvisori.”
[S. Bartezzaghi, Algirdas J. Greimas, in segno d’amicizia, doppiozero, 16 marzo 2019]

La realtà è complessa e non si accontenta di parole
[J. Villoro, Internazionale,  n. 1301, anno 26, 5/11 aprile 2019]

Dialogo, relazione, individuazione. Per una poetica dell’enunciazione.

Ad ogni evidenza pare proprio l’imperfezione a rendere necessario e possibile il dialogo. Dialoghiamo per natura e, quindi, per scelta e necessità. Siamo, infatti, di fronte all’esperienza intersoggettiva umana che tende all’unità interpretativa, alla comprensione, ma è efficace solo se salvaguarda la diversità e le differenze. Il dialogo è perciò un conflitto generativo: un’incontro tra differenze che tende alla cooperazione interpretativa e al comune, e vi riesce se è capace di contenere l’unicità irriducibile di ognuno dei dialoganti. Per molti aspetti potremmo sostenere che il dialogo corrisponda alla elaborazione stessa di questa contraddizione costitutiva. Ne deriva che è l’ambiguità, probabilmente, a distinguere l’esperienza del dialogo. Un’ambiguità, pure essa costitutiva, in quanto contiene allo stesso tempo l’autonomia e la dipendenza che rendono possibile ogni relazione. Il divenire e l’incompiutezza occupano uno spazio cruciale nel dialogo e creano ad un tempo lo spazio necessario e i vincoli al dialogo stesso. La dimensione generativa del dialogo è la stessa che contiene il suo rischio: ciò autorizza a parlare di «poetica dell’enunciazione», con riferimento a quanto l’agire dialogico produce, crea, con la sua espressione, intervenendo nella costruzione dell’esperienza relazionale. Il primato dell’azione di corpi e menti interagenti in una struttura di legame crea un campo semantico di cui il linguaggio verbale articolato è solo una delle manifestazioni, anche se la più evidente. Da “poiesis”, fare, il dialogo è fatto di azioni, di affettività e di embodied cognition, e fa, nel senso che produce azioni con effetti concreti e pratici. Una poetica dell’enunciazione si mostra possibile, pur in una costante incertezza, come continua ricerca di approssimazione. Sia perché dialogare è sempre avvicinarsi e allontanarsi, sia in quanto per comprendersi almeno in parte è sempre necessario aggiustare la propria posizione o rinunciarvi almeno un poco. Dialogare, quindi, non è solo dire, anche se, assumendo Austin, dire è fare.

“Chi sono io, chi sei tu, se non ci comprendiamo”, la domanda radicale che interviene nella relazione tra Lou Andreas Salomè e Rilke, interroga ogni dialogo e, oltre a porre l’individuazione come esito della dialogicità intersoggettiva, evidenzia l’incertezza e l’ambiguità irriducibili come condizioni di esistenza del dialogo.

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